giovedì 24 febbraio 2011

Il ladro di sorrisi

Mi svegliai con un mal di testa insopportabile, atterritto dal pulsare ritmico ed incessante delle meningi decisi di trascinarmi fuori in fretta, nella speranza che l'aria fresca del mattino potesse alleggerimi le tempie. "Ho bisogno di uscire e prendere un po' d'aria".
Mi sembrò particolarmente strano quel giorno spostare il tubo di ghisa che puntella il portone di metallo che ho addossato all'ingresso, non pesante, anzi, lo sforzo mi parve irrisorio, e quel portone pesa quasi 100 kg, ma sembrava come se si piegasse sotto la mia presa. Il sole mi arrivò in faccia come un tir, era più tardi di quanto pensassi, e si era già alzato troppo sull'orizzonte: non mi è mai piaciuto il sole; anche se al fastidio che mi ha sempre procurato ha sempre coniugato una strana sensazione di benessere, qualcosa che farebbe pensare ad una memoria sopita; forse "sempre" non è la parola giusta, forse un tempo non era così. "C'è qualcosa che non va, prendo il giornale poi mi fermo al bar per un caffè, sicuramente mi riprendo".
La giornata cominciò piuttosto male, la mia vicina stava tornando a casa con la spesa, si girò verso di me e rimase pietrificata come alla vista della Medusa, le buste di plastica troppo cariche le stavano solcando le dita, le ultime falangi ormai di un rosso quasi preoccupante. Accennai un sorriso, e mi parve strano, lei in preda al terrore lasciò andare le borse e scappò in casa. Ancora ricordo distintamente il rumore della bottiglia di passata di pomodoro che cozza sul marciapiede e si rompe, il rosso vivo che ha lentamente preso proprietà del marciapiede mentre un'arancia ha deciso di testimoniare che il piazzale effettivamente è un buon compluvio verso la caditoia della fogna laggiù in mezzo. Non mi ricordavo che la città fosse così rumorosa. Uscii dal cancello ma la strana sensazione di non avere un congruo legame con la fisica delle cose non mi abbandonava: mi sembrava di camminare in modo asimmetrico, eppure non si dimentica come si cammina, non è normale, e poi i miei passi li facevo, coprivo la distanza che mi ero prefisso di coprire. "Sarà un malessere generale per colpa del mal di testa". Mi scoprii però spiazzato: non sentivo più mal di testa; ma decisamente non mi sentivo bene.
In fondo alla strada la solita auto del solito coglione che ha scambiato il vialetto per una rotonda, sul sedile di dietro due occhietti vispi che si sbarrano a guardare nella mia direzione, il Tegolino si spiaccica sul vetro lasciando uno di quegli aloni che il padre si divertirà poco a pulire; mi girai di scatto, ma non mi accorsi che ci fosse qualcosa di così terrificante.
Di certo però mi accorsi che la mia irrequietezza continuamente cresceva.
Il passo divenne più deciso e riuscii ad avvicinarmi all'edicola con una certa serenità, mi resi conto di quanto indifferente ti può essere il tuo mondo: avrei salutato i miei vicini, tre diversi vicini in tre occasioni diverse, in quelle poche centinaia di metri, ma il primo, il figlio adolescente dei vicini, camminava immerso in quel cazzo di telefonino da 700 euro. La seconda, una vecchina col cane che non ho mai capito chi fosse, ma che erano anni che incrociavo, mi sembrò quasi facesse finta di non vedermi. La terza fu quella che mi colpì maggiormente: la signora maghrebina che si è trasferita ultimamente dall'altro lato della strada; camminava avvolta nel suo abito, non ho mai capito da quale parte del maghreb arrivasse come si chiamasse quel tipo di abito, di certo poetico oltre quel limite che ti strappa un sorriso per l'onore concesso ai tuoi occhi, teneva per mano il bambino, mi vide, incrociò il mio sguardo, accennò un sorriso, un sorriso insolito, più che cortese direi compassionevole, passò una mano sulla testa del figlio. Ancora ricordo emozionandomi quella finestra di vita, una foto che vale più di tanti filmati.
Fu una volta girato l'angolo che la mia irrequietezza tornò a galla, che rapidamente cercò di tramutarsi in paura, subito dietro l'angolo mi imbattei in tre ragazzine a spartirsi, non ricordo bene come, un lettore mp3, forse avevano un qualche tipo di sdoppiatore, interruppero il canto di una di quelle canzonette insulse partorite dietro le quinte di un reality per vendere dischi a ragazzine come quelle, lo interruppero per lanciarsi, due di loro, in un urlò terrorizzato, si voltarono e scapparono nella direzione opposta. Rimasi spiazzato, mi guardai intorno "Oh cazzo, e se ha visto qualcuno? Ora sembra che abbia fatto loro qualcosa, che mi invento? Che faccio? Proseguo? Faccio finta di niente?", vissi un momento estremamente fastidioso, un imbarazzo misto a spavento che mal si racconta a chi non l'ha provato. Ma il peggio venne dopo, due signore dall'altra parte della strada si voltarono a guardarmi, vidi tutta la scena, si voltarono incuriosite, bastò loro un secondo per girarsi terrorizzate, abbassare lo sguardo, allungare il passo e levarsi dai coglioni.
Allungo il passo a mia volta, supero il distributore di benzina, ormai gli sguardi dall'incuriosito all'atterrito che mi accompagnano sono diventati la norma, l'insegna della farmacia entra nel mio campo visivo: 27 gradi, in effetti fa caldo, 27 aprile 2016, in effetti è il 27 a...2016? "Stupidi tabelloni elettronici, tiltano sempre!".
Decido di volgere lo sguardo al traffico mentre cerco di coprire gli ultimi 200 metri per l'edicola. "Ma che macchine sono queste?". Poi una Punto, una Mito, uno di quei furgoni da sempre familiari. "Qui qualcosa non torna, da dove sono venute fuori quelle auto di prima? Forse era qualche modello in lancio". Ultimamente non seguivo molto il mercato dell'auto. GA 124 TO. "Ma che cazzo di targa è???".
Mi misi a correre, cominciai ad entrare nel panico, non mi veniva molto spontaneo, la mia andatura era decisamente caracollante, ma la velocità era aumentata e mi bastava questo, avevo bisogno di un giornale, ormai volevo solo sapere che giorno fosse.
Poi la fine. Passo accanto ad un palazzo a vetri specchiati, facciata a Nord, nessun riflesso, solo una sagoma deforme, un ominide completamente sfigurato, una pelle praticamente fusa, la schiena incurvata, una gamba estremamente più sviluppata dell'altra, ma molto più corta, due occhi spaventosamente incavati, lo scalpo tagliato via e la calotta cranica segnata da macchie di sangue coagulato che raccontavano di un passato un po' più nascosto del presente. La pelle sembrava come porosa, bombardata, ustionata, forse figlia di radiazioni, fu a quel punto che mi guardai le mani, 4 dita, gli anulari amputati e le ferite perfettamente rimarginate. Indossavo un paio di pantaloncini ed una camicia che faceva fatica a contenere un fisico spaventosamente accresciuto rispetto a quello di chi la acquistò, solo a quel punto pensai di non essermi neanche vestito, ma essere solo uscito di corsa. Nella vetrina accanto, 5 televisori uno più grande dell'altro mandavano in sincro un tale che a SkyTg24 cedeva la linea alla signorina del meteo. "Oggi 27 Aprile 2016...".
Fu allora che realizzai di non aver vissuto per 5 anni precisi, e di essere diventato chissà cosa, chissà perché, sopra pensiero mi girai verso casa, sconvolto, convinto che forse non c'era altro da fare che tornare a casa, casa? Quella polvere, quella porta strana. Un miliardo di foto degli ultimi 10 minuti ritornati alla mente a comporre un quadro incomprensibile, struggente, desolante, terrificante. Mentre mi giro un viso d'angelo, una bambina sorrideva sotto al cappellino bianco, poi vide me, il terrore la avvolse, corse dal padre rimasto 3 passi indietro, ancora mi ricordo le sue parole "Cosa ha fatto alla mia bambina? Vada via, Mostro!". Mostro. Un mostro che ruba i sorrisi ai bambini. Una 9mm sotto 2 centimetri di polvere sul tavolo accanto al mio letto. Quello fu il giorno in cui mi uccisi con l'unico proiettile nel caricatore di quella 9mm.

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