lunedì 1 giugno 2009

Lettera aperta a Pietro Pagliardini da uno studente di architettura

L'amico Piero mi ha chiesto qualche tempo fa di scrivere qualcosa, di riassumere i pensieri di uno studente di architettura che si appassioni al dibattito su architettura ed urbanistica; ecco, ci ho messo un sacco di tempo ma alla fine ho trovato il tempo per riassumere i miei pensieri.

Proprio domenica un'interessante puntata di Report (ovviamente diretta a tutti, quindi magari un po' "banale" in alcuni passaggi per una persona del settore) mi ha dato la spinta: si parlava della morte dello strumento urbanistico e della nascita della città del palazzinaro. E' inutile dire quanto piacevole e confortante sia che anche la societa civile finalmente si schieri contro le varie forme di non-città che proliferano oggi e che eminentemente sono sconfinati quartieri dormitorio o marmellate di villettopoli sparse qua e la.

Il punto forte della trasmissione stava proprio nella continua violenza cui son sottoposti i piani in Italia, raramente rispettati se un qualche imprenditore metta sul piatto soldi sufficienti a far rifiatare un comune che accetta così di far stuprare in qualunque modo il proprio territorio, fregandosene non solo dei costi sociali di migliaia e migliaia di metri cubi messi in un posto alieno alla città, ma anche a quelli poi dovuti ad un'architettura che nelle migliori delle ipotesi è semplicemente banale.

Cos'è oggi un architetto? A cosa si è ridotta la figura che nel tempo ha costruito le città? Se il lavoro dell'urbanista viene violentato in nome dei soldi dei palazzinari, se questi vuole spender poco e se i professori universitari insegnano che non ci sono regole, che tutto è soggettivo ma ingiudicabile, che ciò che fa un architetto è giusto e incontestabile? Cosa viene fuori da questo quadro? Architetti che quando siano rispettosi dell'architettura, della storia ma anche del progresso, dell'urbanistica, conoscitori della città, vengono comunque ridotti a poco più di "disegnatori di cartine". A che serve cioè che un urbanista presti attenzione a come e dove costruire, alle infrastrutture, alle linee di trasporto pubblico, quando poi un palazzinaro compra ettari ed ettari di terreno agricolo e si presenta al comune con i milioni degli oneri in mano e il comune non possa (o voglia, nella peggiore delle ipotesi) che prostituirsi per far cassa in qualche modo?

La questione è inevitabilmente prima politica che di qualunque altro tipo: evidentemente i comuni Italiani non hanno soldi a sufficienza e voglio spendere critiche bipartisan a questo punto, o meglio fare un plauso e una critica a questo governo. Ben venga il federalismo fiscale, gli enti locali sono quelli a più stretto contatto con il cittadino e devono "prendersi cura" di lui, orribile la scelta di togliere l'ici sula prima casa, ossigeno fondamentale per i comuni.

Oggi ci troviamo in condizioni serie, e non parlo di ambientalismo quanto di qualità della città, anche perché i professionisti capaci, che hanno la possibilità economica di non prostituirsi, hanno un ruolo marginale e possono essere facilmente scavalcati da un amministratore poco capace o semplicemente senza sufficienti fondi.

Lo strumento urbanistico dovrebbe avere un valore molto maggiore, dovrebbe essere "inviolabile" ed è qui secondo me che si può e deve ragionare di qualità edilizia, qualità urbanistica e ridensificazione della città, restituzione della città ai cittadini.
Sottrarre la città ai suv e restituirla ai cittadini DEVE essere priorità in Italia dove, non fosse chiaro, nessuno viene a vedere i quartieri dormitorio o le villettopoli terzo millennio, ma si viene a vedere la meraviglia di centri storici stratificati, che offrono tessuti nei quali si legge la storia della città, la città dei cittadini, le città delle auto non interessano a nessuno, anzi potendo se ne fugge.

Il piano dovrebbe appunto essere inviolabile, ed indicare delle nuove aree, che valgano le "C" ma che siano esclusivamente dedicate a "premio" (preferisco scrivere in modo che sia chiaro a tutti, non so quanto sia vasto il tuo pubblico) per coloro i quali accettino la sostituzione edilizia. Dovrebbe cioè indicare gli edifici cittadini impropri e consentire, in funzione della sostituzione, di aggiungere metri cubi, tanti, tantissimi vi prego, se non in sito almeno in queste aree "C bis", e l'allargamento della città deve quindi esistere solo in funzione di una riqualificazione dell'esistente, e ovviamente rispettoso della città. L'esempio della sede della Banca Toscana ad Arezzo l'avevo già fatto (edificio moderno le cui storture sarebbero elencabili solo in un topic dedicato, ma situato in una strada ordinata e di un certo pregio architettonico) : sostituisci quell'oggetto e io ti assicuro tanti metri cubi in più, nello specifico anche in sito, essendo l'edificio attuale molto basso rispetto al contesto, in altri casi in aree IMMEDIATAMENTE periferiche, che ovviamente deve individuare l'urbanista, questa dovrebbe essere la concessione che il comune possa fare, può vendere spazio in virtù di una sostituzione che permetta di riqualificare la città, non può vendere la città per soldi, non può l'amministratore far prostituire la città.
I piani dovrebbero essere frequenti, e non indicare come allargare la città, ma come farla crescere qualitativamente, ma soprattutto dovrebbero essere inviolabili!!! Un accordo di programma può vertere su indici e standard, il comune può prendere la "mazzetta" (oggi è tecnicamente questo) per far costruire 100'000 mc laddove se ne potevan fare 80'000, non per far costruire laddove non si può.
Ne viene fuori un disastro sia ambientale (minori aree verdi, maggiori consumi di carburanti) , che economico (maggiore dispersione per reti di utenze più lunghe, bisogno di nuove infrastrutture), che sociale (migliaia di cittadini che non si sentono cittadini, non padroni ma schiavi della città, di una città che è a sua volta schiava dell'auto).
Un comune può accettare un piano in più molto più facilmente che una casetta "più in la", una città può alzarsi e rimanere vivibile, non può farlo allargandosi a macchia d'olio.

Ed è qui che bisogna che il piano individui, dopo che abbia fallito la commissione edilizia, cosa c'è bisogno di sostituire, cosa non è città ma villettopoli, cosa non è città ma dormitorio, cosa non è edificio ma delirio di un architetto "universitario". Assistiamo oggi in facoltà ad architetti che insegnano che non ci sono regole (ovviamente non tutti, ci mancherebbe), che tutto dipende dal gusto dell'architetto (quindi non ancora dello studente, che deve semplicemente assecondare il professore di turno e sperare di incontrarne il gusto), che non esistono regole, che quando si fa un intervento "deve essere chiaramente riconoscibile" e si portano esempi di abitazioni di Gehry, prontamente riproposti poi dagli studenti in pieno centro storico di Firenze, che quella di Richard Meier è una chiesa anche se a fare fotomontaggi che la collocassero altrove è stata scambiata (non scherzo) per centro velico per la Coppa America e per palazzetto dello sport.
Assistiamo alla negazione aprioristica del tetto a padiglione, che appare quasi come un'offesa il presentare al professore, ad obiezioni del tipo "ma qui c'è umidità" di fronte ad un tema "fai una casa in mezzo al letto dell'Arno", a giudizi opposti su progetti identici presentati a soli 7 giorni di distanza.

All'interno di un panorama del genere forse la speranza può venire da "Report", inteso come società civile che si interessa al problema e si rende conto della situazione caotica (ad essere buoni) in cui versano l'urbanistica e l'architettura in Italia; forse la coscienza che il traffico si crea quando si costruisce male, violentando il piano, lasciando la città in mano ai palazzinari, forse la coscienza che l'inquinamento dipende da migliaia di alloggi cresciuti dove non era previsto né prevedibile né auspicabile, forse la nuova spinta ecologista verso consumi più bassi scoraggiata da distanze troppo grandi, forse la rinnovata tensione verso una città da percorre a piedi potranno quello che politica, urbanistica ed architettura non hanno potuto, o forse voluto, cioè restituire la città ai cittadini. E questo è possibile restituendo l'urbanistica agli urbanisti e l'architettura agli architetti.
E purtroppo per questo la strada sarà lunga e passa anche da un'università che non forma architetti, forma studenti impauriti dal mondo dell'architettura, con nessuna forza culturale da opporre al dio denaro: come può un giovane architetto imporre una corretta visione architettonica che non ha ad un imprenditore che deliberatamente la nega poiché non economicamente vantaggiosa?

La strada è lunga, ma la società civile, se pur prima per la paura sismica e ora per la tensione ecologista, e non per una questione prettamente architettonico/urbanistica, può essere la spinta per riuscire in un prossimo futuro a recuperare le nostre città, a restituircele, togliendole dalle mani di amministratori inadeguati, architetti incompetenti ed urbanisti senza potere.


Spero di non essere stato troppo prolisso e di aver inquadrato la richiesta che mi hai fatto: questa è una sintesi (una sintetica sintesi...) della mia visione dell'architettura e dell'urbanistica attuali e delle prospettive delle stesse, o meglio delle mie speranze perché queste cambino nella direzione che auspico, e credo auspichi anche te.

Ciao Riccardo

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