sabato 15 ottobre 2011

This must be the place

Non contiene Spoiler.

Sorrentino torna, a tre anni da Il Divo, uno dei più grandi capolavori del cinema italiano (in modo tanto assurdo quanto stupido scartato in favore del debole Gomorra al momento di scegliere il film da mandare all' Accademy), tanto per il gusto di confermare la mia idea che di registi di questo livello al mondo ce ne siano non pochi, pochissimi, e pochi di più ce ne siano stati.
Penn conobbe Sorrentino proprio a Cannes quando il regista presentava Il Divo, e lì nacque un connubio che sarebbe stato un delitto non ammirare.
Sorrentino propone al massimo grado di perfezione la sua interpretazione del "Tarantinismo", è molto più allievo lui, a distanza, di Rodriguez; sceglie un tema complesso, e un modo di raccontarlo ancora più complesso. La ricerca, di se stessi, degli affetti, di un posto per i ricordi, di una dimensione nel futuro, dell'amore, della serenità, della vendetta. Sorrentino racconta la ricerca in modo talmente frammentario ed apparentemente inconcludente, riuscendo però ad inquietare da subito lo spettatore che non ha bisogno di mettere insieme i pezzi di un puzzle, ma di trovare uno spazio per la propria tessera, per la propria ricerca. Penn, che interpreta Cheyenne, ex star della musica dal look dichiaratamente ispirato a Robert Smith è il filo conduttore della vicenda, una sorta di ignavo del ventunesimo secolo che vive con fatica la propria condizione ed sente un non precisato bisogno di redenzione, o crescita, o svolta, lo si capirà durante il film. La malattia del padre lo costringerà ad un viaggio negli Stati Uniti, raccontati con lo sguardo tra l'incredulo e il meditabondo del bambino europeo che resta tra l'affascinato e il basito davanti al "più grande" di americana cultura (toccante la scena del pistacchio), con l'ingenuità e la semplicità di chi si lascia convincere ad ascoltare le storie, soprattutto le più nascoste, non solo geograficamente. In questo viaggio Cheyenne affronterà tutti i tipi di ricerca che Sorrentino pare disseminare a caso lungo il suo cammino e capirà chi o cosa sta cercando lui, per finire con il decidere se fumare una sigaretta (solo i bambini non sono attratti dal fumo).
Un racconto tanto surreale quanto emotivamente coinvolgente.
Regia "Tarantiniana" fatta di primi piani, ma anche piani sequenza, visivamente violentissimi pronti a sottolineare dialoghi che riescono a ricordare il "quarto di libbra con formaggio" di Travolta e Jackson, solita fotografia curata in modo maniacale; Sorrentino propone un film che ad un lento racconto degli eventi contrappone un ritmo serrato che anche sul piano emotivo non lascia mai respiro, con la sua caratteristica attenzione per i particolari.
Colonna sonora curata proprio da David Byrne.
Nota personale: la scena della canzone con il bambino è una delle più belle che io abbia mai visto.
Il film è in lingua inglese, l'italia ha scelto Terra Nostra da mandare agli Oscar per la categoria "miglior film straniero" prima che This must to be the place uscisse, per il "miglior film" vanno in dieci nominati, sono in attesa, e chissà che Penn non vada a giocarsi anche la terza statuetta come miglior attore protagonista.

2 commenti:

Stefania ha detto...

sono andata anch'iop a vederlo questo film. Non male. Complimenti per il blog. Io sonoa ncora alle prime armi. Se ti va vieni a trovarmi.

celyneglam ha detto...

Curioso questo film, ne ho sentito parlare molto ma non riesco a immaginare Sean Penn in questa veste..vedremo!Passa da me,lascia un commento :)

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