lunedì 21 dicembre 2009

Facebook-Capitolo II

Oggi, come promesso, torno su Facebook, e lo faccio rapidamente, visto il poco tempo a disposizione. Lo faccio copiando l'intervento dell'amico Vanni con cui lui stesso ha deciso di abbandonare il social network più di moda al momento. Mi colpì subito questo intervento per la semplicità con cui Vanni è riuscito a spiegare in poche parole un concetto tutt'altro che banale.

4 febbraio 2009 - A qualche mese dalla riattivazione del mio Facebook, ho deciso di chiuderlo di nuovo, e per sempre. Da tempo non accetto inviti alle varie applicazioni, e la settimana scorsa ho lasciato tutti i gruppi e tutte le cause, ma sento che non è abbastanza. Tra due giorni, giusto il tempo di ricevere comunicazioni urgenti, se mai ci fossero, chiudo.
Alla base di questa decisione ci sono diverse riflessioni.
Per cominciare, trovo disgustoso il modo in cui Facebook tratta i propri utenti e i loro dati, e sospetto il modo in cui è organizzato (per chi volesse approfondire, questo video http://www.adbusters.org/abtv/do_you_have_facebook.html è molto istruttivo). Tra l'altro vivo ancora nella convinzione un po' retrò che se un'azienda di rilevazione statistica vuole i miei dati per venderli ai suoi clienti, dovrebbe pagarmi!
Secondariamente, mi fa schifo il modo in cui lo strumento, per le sue caratteristiche intrinseche, trasforma le persone in spie. Tutti a spiare colleghi, amanti, amici, amici di amici ed ex-morosi... Bah! A questo si aggiunge il fatto che Facebook agevola pure gli spioni di stato (i quali, in un paese ridotto al medioevo morale come il nostro, non hanno di meglio da fare che andare a rompere le palle a gente iscritta a gruppi anti-Brunetta o altri che sono chiaramente delle boutade).
Al terzo posto nella mia personale lista di orrori, il vuoto mentale che si respira da queste parti. Anche i soggetti più intelligenti - e sapete che tra i miei amici ce ne sono tantissimi, uno di loro probabilmente sei proprio tu che leggi - qui paiono trasformarsi in una informe massa di cretini, tutti frasette e commentini. Dal momento che non mi reputo più intelligente di voi, deduco che evidentemente anch'io subisco questo effetto, e la cosa quasi mi spaventa.

Vale la pena spendere due parole anche per il sistema delle "cause"... Non ho dubbi che siamo tutti contro le torture ai monaci birmani, a favore del risparmio energetico e della legalizzazione della canapa medica, nonché contrarissimi al fatto che delle piccole dolci inermi foche vengano prese a badilate in testa, tuttavia mi pare anche che nessuno abbia cominciato a darsi da fare dopo aver aderito a una causa o un gruppo di Facebook... le proprie convinzioni, anche le più nobili, qui si riducono a miserevoli spot di noi stessi.
Certo, Facebook "ti mette in contatto con le persone della tua vita"... peccato che in contatto con voi ci sono già con altri mezzi! A questo si aggiunge, nel mio caso, la totale inutilità commerciale del servizio. Se il MySpace - per chi come me promuove i propri lavori in rete - ha una certa utilità, Facebook ne è privo in quanto solo raramente mette in contatto con persone nuove.
C'è infine la consapevolezza che, di sapere cosa sto facendo o come mi sento ogni tre minuti (tra l'altro: davvero il nostro mondo interiore si può ridurre a una frasetta? Davvero il meglio che possiamo fare con la nostra arguzia, ironia, cultura è cagare una bella frasetta ogni giorno?) non gliene freghi nulla a nessuno.

Tutto questo mi porta a decidere, con gran gioia, di chiudere il mio Facebook nelle prossime 48 ore, e, pensate, senza aver ancora provato la soddisfazione di taggare qualcuno in una foto in cui è venuto malissimo!


Vanni Santoni
Qui il commiato di Vanni Santoni.

 Traggo lo spunto per tornare a consigliare il libro "Gli interessi in comune" e il blog di Vanni, che trovate nell'elenco link qui a destra.

I miei contributi su Facebook, li rimando a data da destinarsi, spero non molto lontana, ma non è periodo in cui riesco ad organizzare un lavoro piuttosto grosso quale quello che sto cercando di fare.

giovedì 26 novembre 2009

Portachiavi

E' a capo basso da almeno cinque minuti e l'attività appare coinvolgerla sempre più febbrilmente. Dall'eccitazone di sapere "quando...?" è passata alla furia di capire "ma quando cazzo...?" e sta avviandosi alla fase di rassegnazione al "chissà se...".
Fa pena, il suo atteggiamento non può non tradire una vita disegnata dall'insoddisfazione, dal senso di incompiutezza, dall'ignoranza, quella brutta, quella esistenziale, che non ti spinge a leggere un libro, o un quotidiano, neanche quando l'alternativa sono le vicende dell'ultimo tronista di Maria.
Uscirà di qui e tornerà a casa, dopo aver fatto le solite commissioni di tutti i giorni, quella casa dove potrà alimentare le proprie frustrazioni cucinando, facendo le pulizie, spiando i vicini, accogliendo un marito che probabilmente anche oggi non le rivolgerà la parola, ed aspettando con ansia la Maria, quella della televisione...

Con l'automatismo di una routine collaudata da anni si avvicina al bancone, allunga un foglio alla cassiera "dammene un altro, via". Riprende in mano il portachiavi e gratta l'ennesimo gratta e vinci, perde, apre la borsa con un certo senso di vergogna, quello di chi paga debiti di gioco, paga i suoi 35 euro e domani è giorno di lotto e superenalotto. Si decide che deve imparare a giocare a Win for Life, domani.

venerdì 13 novembre 2009

Fare di tutta l'erba...una pera.

E' da qualche giorno che passa in tv questo spot.



Ora, mettendo da parte le eventuali battute sul patrocinio della Presidenza del Consiglio, io mi chiedo:
Com'è possibile che Brocchi dica una cosa del genere senza che nessuno intervenga?
Dov'è il ministro della sanità Sacconi quando in tv passa questo spot?
Dov'è Sacconi mentre passa il messaggio che esagerare una sera con l'alcool o farsi una canna sia pericoloso quanto tirare una striscia di cocaina o farsi un'iniezione di eroina?

In questo paese già più ritardato che arretrato si sentiva proprio il bisogno di una bella overdose di retorica qualunquista e moralista, non si può che ringraziare la Presidenza del Consiglio dei Ministri per una nuova perla: la bandiera dell'ignoranza sventola più fiera che mai sul pennone, avanti così marinai.



Aggiorno questo topic dopo averne parlato con Cristian Brocchi, che ringrazio per le rassicuranti precisazioni, che in un breve ma interessante scambio epistolare mi dice di essere perfettamente cosciente del fatto che la frase che lui pronuncia nello spot, presa così, al di fuori di una contestualizzazione appropriata, sia scorretta e potenzialmente pericolosa e che per i tempi di uno spot televisivo la questione non ha potuto vedere ulteriore approfondimento.

Rinnovo quindi l'elenco delle mie domande al Ministro Sacconi: è questo il modo di affrontare un problema così serio come uso, e abuso, di stupefacenti e tossicodipendenze?
La soluzione è uno spot in cui i volti noti presi a testimonial devono fare la figura dei superficiali buttando la una frase che può costituire la chiosa di un ben più lungo discorso ma mai e poi mai essere accettabile presa solo in quanto tale?
Mi pare un approccio ben poco professionale al tema e mi pare assurdo che un Ministero accetti che il Consiglio dei Ministri decida di trattare in modo così superficiale e pericoloso un problema così importante.
A prescindere dalla mia idea che a parlar di droga debbano essere chimici, medici, psicologi e psichiatri, quando non persone direttamente interessate, e debbano farlo in modo compiuto, in conferenze, interviste e dibattiti, se anche si vuole sfruttare l'impatto emotivo della star, dello sport o dello spettacolo, il modo di farlo è concedere loro quattro secondi e non l'occasione ed il tempo di esprimere un ragionamento compiuto?
Quattro secondi nei quali è possibile, come nello specifico, che le frasi pronunciate risultino più pericolose che utili e comunque errate?


E devo anche precisare che, per quanti avessero già letto questo post in precedenza, Brocchi non è più socio nella proprietà del locale C-Side di Milano, per sua stessa ammissione.

domenica 8 novembre 2009

Let freedom ring

Preso spunto dal topic precedente/sottostante, voglio postare qui il discorso di Martin Luther King al Lincoln Memorial il 28 Agosto del 1963 e ho trovato un video dell'ultima parte, quella più emozionante, con i sottotitoli in italiano (per i più pigri), se pure con qualche errore.

I am happy to join with you today in what will go down in history as the greatest demonstration for freedom in the history of our nation.

Five score years ago, a great American, in whose symbolic shadow we stand today, signed the Emancipation Proclamation. This momentous decree came as a great beacon light of hope to millions of Negro slaves who had been seared in the flames of withering injustice. It came as a joyous daybreak to end the long night of their captivity.

But one hundred years later, the Negro still is not free. One hundred years later, the life of the Negro is still sadly crippled by the manacles of segregation and the chains of discrimination. One hundred years later, the Negro lives on a lonely island of poverty in the midst of a vast ocean of material prosperity. One hundred years later, the Negro is still languished in the corners of American society and finds himself an exile in his own land. And so we've come here today to dramatize a shameful condition.

In a sense we've come to our nation's capital to cash a check. When the architects of our republic wrote the magnificent words of the Constitution and the Declaration of Independence, they were signing a promissory note to which every American was to fall heir. This note was a promise that all men, yes, black men as well as white men, would be guaranteed the "unalienable Rights" of "Life, Liberty and the pursuit of Happiness." It is obvious today that America has defaulted on this promissory note, insofar as her citizens of color are concerned. Instead of honoring this sacred obligation, America has given the Negro people a bad check, a check which has come back marked "insufficient funds."

But we refuse to believe that the bank of justice is bankrupt. We refuse to believe that there are insufficient funds in the great vaults of opportunity of this nation. And so, we've come to cash this check, a check that will give us upon demand the riches of freedom and the security of justice.

We have also come to this hallowed spot to remind America of the fierce urgency of Now. This is no time to engage in the luxury of cooling off or to take the tranquilizing drug of gradualism. Now is the time to make real the promises of democracy. Now is the time to rise from the dark and desolate valley of segregation to the sunlit path of racial justice. Now is the time to lift our nation from the quicksands of racial injustice to the solid rock of brotherhood. Now is the time to make justice a reality for all of God's children.

It would be fatal for the nation to overlook the urgency of the moment. This sweltering summer of the Negro's legitimate discontent will not pass until there is an invigorating autumn of freedom and equality. Nineteen sixty-three is not an end, but a beginning. And those who hope that the Negro needed to blow off steam and will now be content will have a rude awakening if the nation returns to business as usual. And there will be neither rest nor tranquility in America until the Negro is granted his citizenship rights. The whirlwinds of revolt will continue to shake the foundations of our nation until the bright day of justice emerges.

But there is something that I must say to my people, who stand on the warm threshold which leads into the palace of justice: In the process of gaining our rightful place, we must not be guilty of wrongful deeds. Let us not seek to satisfy our thirst for freedom by drinking from the cup of bitterness and hatred. We must forever conduct our struggle on the high plane of dignity and discipline. We must not allow our creative protest to degenerate into physical violence. Again and again, we must rise to the majestic heights of meeting physical force with soul force.

The marvelous new militancy which has engulfed the Negro community must not lead us to a distrust of all white people, for many of our white brothers, as evidenced by their presence here today, have come to realize that their destiny is tied up with our destiny. And they have come to realize that their freedom is inextricably bound to our freedom.

We cannot walk alone.

And as we walk, we must make the pledge that we shall always march ahead.

We cannot turn back.

There are those who are asking the devotees of civil rights, "When will you be satisfied?" We can never be satisfied as long as the Negro is the victim of the unspeakable horrors of police brutality. We can never be satisfied as long as our bodies, heavy with the fatigue of travel, cannot gain lodging in the motels of the highways and the hotels of the cities. We cannot be satisfied as long as the negro's basic mobility is from a smaller ghetto to a larger one. We can never be satisfied as long as our children are stripped of their self-hood and robbed of their dignity by signs stating: "For Whites Only." We cannot be satisfied as long as a Negro in Mississippi cannot vote and a Negro in New York believes he has nothing for which to vote. No, no, we are not satisfied, and we will not be satisfied until "justice rolls down like waters, and righteousness like a mighty stream."¹

I am not unmindful that some of you have come here out of great trials and tribulations. Some of you have come fresh from narrow jail cells. And some of you have come from areas where your quest -- quest for freedom left you battered by the storms of persecution and staggered by the winds of police brutality. You have been the veterans of creative suffering. Continue to work with the faith that unearned suffering is redemptive. Go back to Mississippi, go back to Alabama, go back to South Carolina, go back to Georgia, go back to Louisiana, go back to the slums and ghettos of our northern cities, knowing that somehow this situation can and will be changed.

Let us not wallow in the valley of despair, I say to you today, my friends.

And so even though we face the difficulties of today and tomorrow, I still have a dream. It is a dream deeply rooted in the American dream.

I have a dream that one day this nation will rise up and live out the true meaning of its creed: "We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal."

I have a dream that one day on the red hills of Georgia, the sons of former slaves and the sons of former slave owners will be able to sit down together at the table of brotherhood.

I have a dream that one day even the state of Mississippi, a state sweltering with the heat of injustice, sweltering with the heat of oppression, will be transformed into an oasis of freedom and justice.

I have a dream that my four little children will one day live in a nation where they will not be judged by the color of their skin but by the content of their character.

I have a dream today!

I have a dream that one day, down in Alabama, with its vicious racists, with its governor having his lips dripping with the words of "interposition" and "nullification" -- one day right there in Alabama little black boys and black girls will be able to join hands with little white boys and white girls as sisters and brothers.

I have a dream today!

I have a dream that one day every valley shall be exalted, and every hill and mountain shall be made low, the rough places will be made plain, and the crooked places will be made straight; "and the glory of the Lord shall be revealed and all flesh shall see it together."2

This is our hope, and this is the faith that I go back to the South with.

With this faith, we will be able to hew out of the mountain of despair a stone of hope. With this faith, we will be able to transform the jangling discords of our nation into a beautiful symphony of brotherhood. With this faith, we will be able to work together, to pray together, to struggle together, to go to jail together, to stand up for freedom together, knowing that we will be free one day.

And this will be the day -- this will be the day when all of God's children will be able to sing with new meaning:

My country 'tis of thee, sweet land of liberty, of thee I sing.

Land where my fathers died, land of the Pilgrim's pride,

From every mountainside, let freedom ring!

And if America is to be a great nation, this must become true.

And so let freedom ring from the prodigious hilltops of New Hampshire.

Let freedom ring from the mighty mountains of New York.

Let freedom ring from the heightening Alleghenies of Pennsylvania.

Let freedom ring from the snow-capped Rockies of Colorado.

Let freedom ring from the curvaceous slopes of California.

But not only that:

Let freedom ring from Stone Mountain of Georgia.

Let freedom ring from Lookout Mountain of Tennessee.

Let freedom ring from every hill and molehill of Mississippi.

From every mountainside, let freedom ring.

And when this happens, when we allow freedom ring, when we let it ring from every village and every hamlet, from every state and every city, we will be able to speed up that day when all of God's children, black men and white men, Jews and Gentiles, Protestants and Catholics, will be able to join hands and sing in the words of the old Negro spiritual:

Free at last! Free at last!

Thank God Almighty, we are free at last!



4 parole in croce.

Oggi mi sono preso del tempo per dire la mia su questa storia del crocifisso e lo faccio "rispondendo" a Marco Travaglio che sul sito "L'antefatto" che consiglio a tutti, e forse anche sul quotidiano, ha scritto il seguente pezzo, che non condivido. Non voglio tagliarlo, evidenzierò i passaggi che più mi interessano.

Dipendesse da me, il crocifisso resterebbe appeso nelle scuole. E non per le penose ragioni accampate da politici e tromboni di destra, centro, sinistra e persino dal Vaticano. Anzi, se fosse per quelle, lo leverei anch’io.

Fa ridere Feltri quando, con ignoranza sesquipedale, accusa i giudici di Strasburgo di “combattere il crocifisso anziché occuparsi di lotta alla droga e all’immigrazione selvaggia”: non sa che la Corte può occuparsi soltanto dei ricorsi degli Stati e dei cittadini per le presunte violazioni della Convenzione sui diritti dell’uomo. Fa tristezza Bersani che parla di “simbolo inoffensivo”, come dire: è una statuetta che non fa male a nessuno, lasciatela lì appesa, guardate altrove. Fa ribrezzo Berlusconi, il massone puttaniere che ieri pontificava di “radici cattoliche”. Fanno schifo i leghisti che a giorni alterni impugnano la spada delle Crociate e poi si dedicano ai riti pagani del Dio Po e ai matrimoni celtici con inni a Odino. Fa pena la cosiddetta ministra Gelmini che difende “il simbolo della nostra tradizione” contro i “genitori ideologizzati” e la “Corte europea ideologizzata” tirando in ballo “la Costituzione che riconosce valore particolare alla religione cattolica”. La racconti giusta: la Costituzione non dice un bel nulla sul crocifisso, che non è previsto da alcuna legge, ma solo dal regolamento ministeriale sugli “arredi scolastici”.

Alla stregua di cattedre, banchi, lavagne, gessetti, cancellini e ramazze. Se dobbiamo difendere il crocifisso come “arredo”, tanto vale staccarlo subito. Gesù in croce non è nemmeno il simbolo di una “tradizione” (come Santa Klaus o la zucca di Halloween) o della presunta “civiltà ebraico-cristiana” (furbesco gingillo dei Pera, dei Ferrara e altri ateoclericali che poi non dicono una parola sulle leggi razziali contro i bambini rom e sui profughi respinti in alto mare).

Gesù Cristo è un fatto storico e una persona reale, morta ammazzata dopo indicibili torture, pur potendosi agevolmente salvare con qualche parola ambigua, accomodante, politichese, paracula. È, da duemila anni, uno “scandalo” sia per chi crede alla resurrezione, sia per chi si ferma al dato storico della crocifissione. L’immagine vivente di libertà e umanità, di sofferenza e speranza, di resistenza inerme all’ingiustizia, ma soprattutto di laicità (“date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”) e gratuità (“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”).

Gratuità: la parola più scandalosa per questi tempi dominati dagli interessi, dove tutto è in vendita e troppi sono all’asta. Gesù Cristo è riconosciuto non solo dai cristiani, ma anche dagli ebrei e dai musulmani, come un grande profeta. Infatti fu proprio l’ideologia più pagana della storia, il nazismo – l’ha ricordato Antonio Socci - a scatenare la guerra ai crocifissi. È significativo che oggi nessun politico né la Chiesa riescano a trovare le parole giuste per raccontarlo.

Eppure basta prendere a prestito il lessico familiare di Natalia Ginzburg, ebrea e atea, che negli anni Ottanta scrisse: “Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente… Perché mai dovrebbero sentirsene offesi gli scolari ebrei? Cristo non era forse un ebreo e un perseguitato morto nel martirio come milioni di ebrei nei lager? Nessuno prima di lui aveva mai detto che gli uomini sono tutti uguali e fratelli.

A me sembra un bene che i bambini, i ragazzi lo sappiano fin dai banchi di scuola”. Basterebbe raccontarlo a tanti ignorantissimi genitori, insegnanti, ragazzi: e nessuno – ateo, cristiano, islamico, ebreo, buddista che sia - si sentirebbe minimamente offeso dal crocifisso. Ma, all’uscita della sentenza europea, nessun uomo di Chiesa è riuscito a farlo. Forse la gerarchia è troppo occupata a fare spot per l’8 per mille, a batter cassa per le scuole private e le esenzioni fiscali, a combattere Dan Brown e Halloween, e le manca il tempo per quell’uomo in croce. Anzi, le mancano proprio le parole. Oggi i peggiori nemici del crocifisso sono proprio i chierici. E i clericali.


Premetto la mia posizione e poi nel discorso nè darò anche ragione: secondo me il crocifisso nelle scuole, e negli edifici dello stato tutti, non dovrebbe starci, pur non dando fastidio a me come individuo.

mercoledì 4 novembre 2009

Facebook-Capitolo I

Periodo in cui non posso dedicare molto tempo al blog ma volevo mettere insieme del materiale per cercare di capire qualcosa del mondo di Facebook, che fino a poco tempo fa conoscevo molto superficialmente.
Oggi posto i lavori ironici di alcuni autori trovati su youtube.


Prima una "cover" di bellapapero.



Poi un lavoro fatto con eloquence da Maoissimo, esilarante.



Infine un'altra "cover", complimenti anche ad Angleman1985.



Io ci leggo la forte ironia ed una critica probabilmente un po' ipocrita di chi le funzioni assurde di Facebook non le rinnega proprio tutte, ma senza dubbio l'ironia dei tre è da premiare, che sia satira spietata come intimamente spererei o un po' meno crudele, come mi sembra più probabile.

venerdì 16 ottobre 2009

Il calzino stravagante.

Oggi siamo arrivati alla fine. Il paese è tecnicamente finito: se una trasmissione come quella di Brachino può fare una cosa del genere senza avere la matematica certezza che questa comporti l'abbandono del programma da parte di tutti gli spettatori, significa che in Italia il tasso di imbecillità ha raggiunto e superato il punto di non ritorno.
Non è tanto il servizio in quanto tale, diciamocelo, Brachino lavorava a studio aperto nel periodo di direzione di Giordano, quindi è evidente che non abbia nulla a che vedere con il giornalismo, ma se la rete gli permette di andare in onda con un servizio del genere, essendo rete commerciale, significa essere matematicamente certa che non perderà ascoltatori, e questo significa che almeno quel pubblico è completamente andato.

E gustatevi il servizio sullo stravagante giudice che passeggia mentre attende il proprio turno dal barbiere, interrompe la passeggiata per accendere una sigaretta e udite udite: indossa calzini celesti!!!Questo si che è uno stravagante!Fa quasi paura.

Il servizio stravagante.

Risponde piccata l'associazione nazionale magistrati.Qui.


Ora, a me verrebbe quasi da sorvolare sulla democrazia, evidentemente attaccata ad un filo se il corruttore sguinzaglia i propri giornalisti (diciamo i propri iscritti all'albo, che "giornalista" è una parola seria) per pedinare il giudice che ha quantificato il suo furto figlio di corruzione e questi sostengono che una persona coi calzini celesti sia uno squilibrato che non può giudicare il padrone, e soffermarmi sulla demenza del pubblico.
Non riesco a rassegnarmi all'evidenza che mediaset non rischierebbe mai di ammazzare una trasmissione e quindi ha la certezza che i suoi spettatori siano ormai stati ridotti a bande di soggetti degni della tettona del grande fratello che sostiene che Rita Levi Montalcini sia morta.



Purtroppo a una trentina d'anni dall'arrivo della "TV commerciale" il cervello dell' italiano è andato a D'Addario e per ego particolarmente grandi non c'è evidentemente niente di meglio che plasmare un paese a propria immagine e somiglianza.

Consiglio a questo proposito Videocracy, di Erik Gandini, film i cui trailers sono stati censurati sulla TV italiana, che offre il punto di vista di un italiano che vive in Svezia ormai da anni e guarda al bel paese dal punto di vista di chi, non essendoci dentro non ne è stato fortunatamente fagocitato.

lunedì 12 ottobre 2009

Nota di servizio

Dovrei aver risolto il problema che impediva di lasciare commenti da anonimo. Adesso i commenti sono soggetti alla mia moderazione ma li pubblica. Grazie a tutti.

sabato 10 ottobre 2009

Ipse dixit.

Silvio Berlusconi (Re)

"Ho avuto la fortuna di avere potuto spendere più di 200 milioni di euro per consulenti e GIUDICI".



venerdì 9 ottobre 2009

Il garante.

Pensavo di passarci sopra ma non mi riesce: 2 giorni fa è stato giudicato incostituzionale il Lodo Alfano (che tra l'altro per quale motivo si chiami "lodo", non essendo figlio dell'accordo tra nessuno, mi resta incomprensibile), ovviamente direte voi: se la Costituzione recita che siamo tutti uguali di fronte alla legge, è abbastanza elementare che un provvedimento che sospenda processi attualmente in corso per 4 persone su 60 milioni, sia incostituzionale.
Ma il punto è un altro: ci ritroviamo con il Presidente della Repubblica più irritante della storia, un uomo che percepisce uno stipendio (e non certo da fame) per dire ovvietà in pubblico e che rifiuta di svolgere il proprio compito istituzionale.

Pochi giorni fa, a richiesta di non firmare lo scudo fiscale (che perlomeno dubbi di incostituzionalità li deve sollevare, sembrando essere provvedimento da approvarsi a 2/3 di maggioranza parlamentare per il carattere di amnistia che racchiude) rispose in questo modo delirante ad un cittadino.



Cioè lui non promulga o meno una legge perché la ritiene più o meno costituzionale, la promulga sempre perché "sennò me la rimandano uguale", Napolitano non è dunque il garante della Costituzione, non è neanche un uomo, è un timbro, una macchina, il documento che gli passa di sotto il naso lo firma e via, sotto a chi tocca. Beh, personalmente preferirei un timbro: costa certamente meno dei circa 200'000 euro più spese che costa un Presidente della Repubblica.

Ma congiungiamo le due cose: la scorsa primavera Napolitano firmò la Legge Alfano e quella volta a chi gli chiedesse cosa si fosse fumato disse (parafrasando) "l'ho firmata perché accoglie i rilievi della Corte Costituzionale sollevati sulla Legge Schifani di qualche anno prima" (evidentemente è tema molto importante rendere immuni alla legge 4 o 5 persone). Falso: come prima cosa non accoglieva l'osservazione che eventuali ragionamenti di questo tipo dovessero essere estesi anche ai ministri, ma soprattutto, e qui sta lo schifo, non può una legge sospendere i reati comuni, anche precedenti all'elezione di queste alte cariche, perché andrebbe in deroga al principio di parità di trattamento di fronte alla giurisdizione. Il che significa che al limite avrebbero potuto provare a passare una legge che, come riguardo al Presidente della Repubblica francese (democrazia presidenziale comunque...), sospendesse i procedimenti a carico per reati commessi nello svolgimento delle proprie funzioni istituzionali. Ovviamente una legge del genere non sarebbe servita a niente perché Mills con questo non ha niente a che spartire, e non avrebbe interesse Berlusconi (unica alta carica ad avere processi pendenti per reati comuni).
Comunque Napolitano firma tutto e quando deve spiegare per quale cavolo di motivo ha firmato o dice (e parafraso di nuovo) "non mi scocciate, se non firmo me la rimandano, sicché è uguale", tanto per cercare di ridefinire la parola inutile, oppure offre una spiegazione FALSA inventandosi uno scenario fasullo o addirittura non capendo di cosa stia parlando. Ora, volendo escludere la malafede, perché sarebbe gravissimo, resta solo l'incompetenza.

E qui mi chiedo: che autorità morale ha Napolitano di fare il Presidente della Repubblica se, in una sola settimana, prima ha dichiarato ad un cittadino, ma pubblicamente, che lui il proprio lavoro di garante della costituzione non lo fa perché lo ritiene inutile ("me la rimandano uguale"), poi è stato sputtanato dalla Corte Costituzionale che ha sancito che lui di Costituzione non capisce niente?

Presidente Napolitano, come mai non si dimette?Non si vergogna neanche un po' di ciò di cui si è reso protagonista questa settimana?
Dire pubblicamente che il proprio lavoro è inutile, e quindi ammettere di non svolgerlo, e dopo vedere certificata la propria incompetenza a rivestire il ruolo in questione non bastano a rendere indispensabili le dimissioni?

E' proprio vero che chi va a Roma prende la poltrona, e quale che sia, non la molla neanche a costo di sacrificare amor proprio, orgoglio, dignità...
E se la Costituzione la garantisce lui, buona costituzione a tutti.


Napolitano: "Sto dalla parte della costituzione". Facile salire sul carro dei vincitori. (Spinoza.it)

Incostituzionale il Lodo Alfano. Facoltativi i caroselli.

Oggi voglio dare spazio a due chicche di satira amatoriale in cui mi sono imbattuto oggi.








Con i miei complimenti agli autori, rispettivamente tonytroja e Claudiettosinger.
Il titolo del topic è invece citato dal meraviglioso blog Spinoza che adesso vado a linkare tra i siti interessanti e penso spesso citerò in futuro.

giovedì 8 ottobre 2009

3001

La stanza è buia, fredda, i rumori sinistri adesso sono terrificanti.
Il metallo suona in tanti modi differenti, dal tonfo sordo della porta di una cassaforte all'eco dei colpi nella carena di una petroliera vuota, dalle posate che si toccano su un piatto al caricatore di una Colt M1911 che viene armata; e a seconda della situazione ogni suono metallico può ispirare diverse sensazioni.
Un treno che passa. E' confortante, c'è civiltà qui vicino, possono esserci i soccorritori; un coltello che ritmicamente scivola sul cuoio lo è molto meno.
Il buio, le mani legate dietro una sedia che non sarebbe neanche scomoda se non fosse per le metalliche costrizioni a polsi e caviglie.
Come si può non avere paura?
Io non ce l'ho.
Si esaurisce il suono del coltello, c'è aria di fine, ma terrore di inizio. Via il cappuccio. Il grande libro sul tavolino conta centinaia di nomi per ogni pagina, pagine indicizzate per nome.
Sono 3001, 3001 i nomi, padri, fratelli, mogli, figli, madri, il conto è salato.
"Non so chi ti abbia marchiato, io non sono così..."
Leggo che il suo coraggio da cappello puntuto è ormai andato a farsi fottere.
Comincio il mio lavoro, la mia arte è corale, il mio capolavoro di "grafica" vanta l'esclusivo accompagnamento sonoro delle urla di dolore e gode della vivacità di tutti quei toni di rosso. Il coltello lavora quasi come si muovesse da solo, è così ricopro la mia nuda perfidia con antiche espressioni a me estranee rubate ai sacri testi e sembro un santo quando faccio la parte del diavolo.
Un laccio emostatico giallo, una bacinella di ghiaccio, un'iniezione di adrenalina. Mi siedo sull'altra sedia mentre lui guarda i suoi due dobberman mangiarsi la sua gamba tra le urla, i pianti, la disperazione di chi sa che non finirà presto. Comincio a leggere, non capisco in che ordine, sia questa lista, io leggo e ad ogni nome mi fermo a guardarlo.
Ripeto 10 volte l'ultimo nome, Amos Dreyfus, so che succederà ma non accetterò mai che si arrotondi a 3000, sono 3001, 3001 cazzo.
Non sarà certo l'ultima volta che sentirà questo nome. Amos Dreyfus.



Ogni citazione è assolutamente voluta.

lunedì 5 ottobre 2009

E te sempre più di me

L'altra sera ho visto al TG1 questa scena.



E mi sono cercato la notizia su internet. Qui.

Beh non c'è che dire, dopo questo fenomeno...




...si poteva peggiorare giusto con Minzolini. E speriamo che il fondo sia stato finalmente toccato e non tocchi assistere ad uno spettacolo ancora più ignobile.

giovedì 1 ottobre 2009

Copyright e SIAE

Questa sera cercando delle cose su e-bay mi sono imbattuto nel cofanetto di dvd di "Il signore degli anelli" alla modica cifra di 49,90 euro e dal giramento di palle quasi decollo.
La prendo alla lontana, sul funzionamento della SIAE rimando alla splendida (come al solito) puntata di Report.
E mi sono chiesto: pare già piuttosto assurdo pagare la SIAE, cioè il diritto d'autore, sui carciofi al supermercato, sulla birra al pub, sul caffè al bar e pensavo che tra i soldi spesi nei vari esercizi commerciali ci stessero dentro anche i soldi per chi le canzoni se le procura "scaricandole" da internet (è il peer to peer al centro dell'attenzione, vorrei evitare di ragionare di ovvietà), e però le campagne di condanna, critica, guerra, contro i "pirati" non si sono mai placate, allora non mi è rimasto che pensare "la SIAE è un'anomalia e lo schifo che rappresenti è universalmente riconosciuto, evidentemente si lavora per cancellarla e si comincia nel frattempo la guerra a chi il copyright lo ruba". Invece no, io pago i diritti d'autore pure a gente come Gigi D'Alessio che non ascolto neanche quando sono in un luogo pubblico (piuttosto mi tappo le orecchie), li pago su CENTINAIA di articoli che compro, anche su musica che non ascolto, li paghiamo tutti, e però c'è la guerra a chi "scarica". Mi resta da pensare: il copyright su una canzone, oggetto decisamente riutilizzabile è alto, è giusto pagarlo ad ogni utilizzo, e per detenerla occorre pagare un alto copyright. Mi convinco che questa debolissima considerazione sia sufficiente, ignoro il fatto che spendere 15 euro per un disco di 12 canzoni di cui me ne piacciano 3 sia un furto, non permettendomi nessuno di avere solo quelle 3, ignoro il fatto che a me il cd occupa spazio e rompe i maroni e preferirei scaricarmi una canzone per una, ignoro il fatto che mi disgusti comprare un pezzo dance e che il copyright se lo prenda più Casadei che l'autore del mio pezzo dance, o che prenda un pezzo politicamente impegnato e i diritti se li prenda il cantante pop, ignoro tutto e arrivo dove non si può più ignorare, e cioè ad e-bay.

Il cofanetto a 50 euro. Ora, un film non è un oggetto usa e getta ma poco ci corre, davvero poco, poche volte ho visto un film più di una volta, e quasi sempre in quanto questo passava in tv mentre non avevo niente di meglio da fare, Il signore degli Anelli è uno di questi, e mi sono rifatto i miei ragionamenti.
Ho visto i 3 film al cinema, poi ne ho noleggiati 2, ne ho acquistato uno su primafila su Sky, li ho rivisti tutti e 3 su Mediaset ed anche su Sky, quindi io ho pagato il copyright sui biglietti del cinema, sul noleggio, sulla primafila di Sky, ho visto le pubblicità di Mediaset (quello è pagare il copyright, Mediaset compra il film e lo vende agli sponsor, io guardando le pubblicità risarcisco gli sponsor) e pago l'abbonamento a Sky-cinema, in pratica io per quei 3 film il diritto d'autore l'ho pagato 12 volte, 4 per ogni film.

Ora, a quello che "scarica" il film e ruba il diritto d'autore UNA VOLTA processi, condanne, multe, e processi anche mediatici, condanne morali, quello li è un ladro un mostro, ma alla casa cinematografica che il diritto d'autore su di un oggetto che fondamentalmente è usa e getta lo ruba TRE VOLTE non dice mai niente nessuno?
Perché qui magari si vuol dire "eh ma te te lo guardi 4 volte, tanto usa e getta non è", beh, fermi tutti: prendiamo un film come "Il Sesto Senso" io pago il biglietto al cinema, se poi passa su Sky, il diritto d'autore lo sto pagando un'altra volta pur essendo quello inequivocabilmente un film usa e getta.

Mai nessuno che dica una parola su questo tipo di truffa sul copyright, quando il coglionazzo ruba uno alla multinazionale è una mostruosità, quando la multinazionale ruba tre a un coglionazzo il silenzio è assordante.
Eppure il diritto d'autore a me pare dovrebbe essere un riconoscimento a chi ha prodotto l'oggetto, la certezza che nessuno possa appropriarsi di quell'opera e venderla incassandone tutti i proventi, ma com'è possibile che una stessa persona debba pagare il diritto d'autore sullo stesso oggetto allo stesso autore per tutta la vita ad ogni utilizzo, anche involontario (la televisione).

Inutile dire che io a Peter Jackson ritengo di aver pagato fin troppi diritti d'autore e se l'autore ritiene di avere solo diritti, beh, il diritto di mettere uno stop alla disponibilità di farmi prendere per il culo decido di esercitarlo, il cofanetto non lo compro di certo.

E ragionando di questo mi sono imbattuto in questo video, che vi consiglio di guardare (tra l'altro il ragazzo parla un inglese chiarissimo, è un'ottima occasione per farci l'orecchio) almeno per la prima parte, in cui si affronta il tema del copyright da un punto di vista "evolutivo".

giovedì 24 settembre 2009

L'una di notte

Il colpo è deciso, secco; lo sbuffo di farina e la forma adesso più schiacciata della pasta testimoniano di un gran bel lavoro.
Questo fa, colpisce il pane, rintanato in quel buco male illuminato mentre il mondo sta dormendo fregandosene altamente di chi sia ad occuparsi di mettere il pane in tavola. Un colpo tira l'altro, il suo collega ce ne mette due o tre a trovare la forma giusta, lui sembra un automa in catena di montaggio, ne colpisce uno e poi avanti il prossimo, sotto a chi tocca. Questo era lui ai tempi d'oro, ben più nobili le sue vittime. Non si è mai accettato nella sua nuova veste che pure gli è venuto inspiegabilmente spontaneo vestire; lo sguardo spento con cui colpisce le sue creature non è figlio del faticoso risveglio all'una di notte ma dell'incapacità di vedersi li, a soli trent'anni, con quel grembiule infarinato, figlio della consapevolezza, che man mano si fa strada nella mente, che la colpa sia soltanto sua. Sono ormai lontani i tempi dei milioni, delle Ferrari, dei successi, delle donne, del ring, degli steroidi anabolizzanti e dell'ultimo prelievo alla fine dell'ultimo match, due anni fa.
Il labiale tradisce una bestemmia, e passa al colpo successivo.

CapaRezza - Follie Preferenziali

Dal momento che youtube mi impedisce di caricarlo avendomelo censurato sia a gennaio, quando lo montai, che oggi, ci provo qui, e avviso i naviganti che questo "video" che sarebbe meglio definire "slideshow" contiene immagini forti non adatte ad un pubblico minorenne o facilmente impressionabile, chi ne inizi la visione, è stato informato.


venerdì 18 settembre 2009

Il Matemago



Sarebbe tutto molto comico se non fosse che Vespa in virtù di garante dello spettatore si impantana in un delirio di leccaculismo misto ad incompetenza tale da ridefinire la parola imbarazzante.

sabato 29 agosto 2009

Saggio sul delirio di onnipotenza.


Ad oggi c'è un signore, piuttosto importante, che ha completamente perso il senso della misura e del pudore, riuscendo persino a "dissociarsi" dalle crociate di uno dei propri scagnozzi (Vittorio Feltri, nello specifico, neo-direttore de "Il Giornale") per cercare la figura del garantista facendo condurre le crociate ai "pezzenti" come nelle migliori tradizioni vaticane.
E la crociata di oggi, contro la stampa, ha tra i propri bersagli proprio il direttore di Avvenire Boffo.
E se da una parte si cerca la rissa ad opera del "giornale" di casa (che ha l'indiscutibile pregio di mantenere costante la qualità del "giornalismo" che vi si adagia sopra anche al variare dei direttori), verso "La Repubblica" si cerca lo scontro più subdolo: la causa civile. Già perchè una causa penale sputtana un giornale, con qualche cavillo se anche la vinci alla fine direttori e giornalisti si salvano, a chiedere 1 milione fai paura, non importa che tu vinca o perda la causa, ma di qui alla sentenza ogni giornalista si sente sulla testa una spada di Damocle da un milione di tonnellate, e così si giunge a querelare non un giornalista che scriva il falso ma un giornale che ponga domande. E non esiste alcun regime non dittatoriale nella storia del pianeta che abbia ritenuto reato (perchè questo è quel che pensa Berlusconi) il porre domande.

La cantilena di "Berlusconi porta prestigio internazionale" oggi fa ormai quasi male al cuore, rendersi conto di vivere in un paese i cui cittadini sono considerati dei deficienti da quasi tutto il pianeta fa male, fa male pensare che gli unici posti dove degli italiani non è diffusa l'opinione che siano stupidi siano quei paesi dove la stampa è terrorizzata come da noi è ancora peggio, è peggio perchè dimostra che la soppressione della libertà di stampa è il primo necessario gradino per ammazzare una democrazia.

E purtroppo c'è poco da fare, se Berlusconi è considerato un folle (nell'ambito di un panorama democratico) in tutto il pianeta, son considerati deficienti coloro che gli fanno guidare il paese e onestamente, a livello personale, io di essere preso per il culo in giro per il mondo farei anche volentieri a meno.

Mi riferisco a notizie come queste.

"Il potere di Berlusconi (in Italia) ormai eccede quello di qualsiasi altro leader in Europa occidentale", scrive Stille, notando che "bisogna guardare alla Russia di Putin o al Venezuela di Chavez per trovare paralleli". Il comportamento del nostro presidente del Consiglio è comprensibile, continua il suo editoriale, "solo se considerato alla luce di un sistema che gli assegna totale impunità", un'impunità - spiega Stille ai lettori del quotidiano finanziario britannico (Financial Times, ndr) - fornita in parte da leggi ad personam fatte approvare da Berlusconi, come quella che assegna immunità legale al premier, e in parte determinata dal suo "quasi totale controllo" dei media italiani, attraverso le tivù di sua proprietà, le reti pubbliche "indurettamente" controllate e la stampa. "La maggior parte dei giornali italiani, con una o due eccezioni, hanno coperto la vicenda con grande cautela, assai meno estensivamente di molti giornali britannici", afferma Stille.


Forbes. Per il settimanale economico statunitense un caso simile non potrebbe scoppiare in America. I giornali, infatti, "sono protetti dalle leggi sulla libertà d'espressione".


La notizia.


Ma visto che oggi il ministro Bondi (chiedo scusa per il linguaggio forte) ha sostenuto che il gruppo "L'Espresso" è una sorta di megapartito, la notizia la posto anche dal Corriere della Sera.

corriere.it

domenica 23 agosto 2009

Tacco 12

Inguardabile. 20 anni passati all'insegna dell'ossesiva, spasmodica ricerca della massima corrispondenza all'ideale estetico maggiormente in voga. 35 anni e a guardarla camminare sui tacchi viene quasi da piangere.
Sono solo le 11 ma se vuole mantenere il suo posto di donna da esposizione sa che la sfilata di shopping lungo la passeggiata sul porto è suo dovere. Hot pants, tacco 12, camicetta di Gucci, borsa Prada e occhialoni scuri che nascondono completamente un volto probabilmente segnato da occhiaie che non possono non avere a che fare con quel naso rosso e quel ritmico tic di tirare sù.
La camminata tutt'altro che fluida la sta riportando dall'ultima boutique allo yacht. Il padrone della barca è anche il suo, lo sa, e ne va quasi fiera. Le 3 borse dei negozi raccontano che è stata fuori a zoppicare per almeno un'ora, il tempo sufficiente a chi l'ha comprata per scoparsi il nuovo membro dell'equipaggio: Elena, 21 anni, biondina sanremese assunta durante l'ultimo approdo a Montecarlo. Lei lo sa, le basta non vedere, le basta continuare a farsi vedere camminare per le promenades del mondo; è orgogliosa della camminata che sfoggia.
E' felice mentre sale a bordo.
Posa le borse, bacia il suo padrone, sale sul ponte superiore, sorride curiosa mentre raccoglie l'ultimo numero di Chi; si spoglia, resta in topless. Ieri quelle tette le sembravano più sode. Il sorriso scompare. Cosa le rimarrebbe se fosse sostituita?
Si rende conto anche lei che resterebbe sola con la sua camminata ignobile.

mercoledì 15 luglio 2009

Lei non sa chi sono io.










Oggi mi ha colpito questa notizia.

Domenica Roberto Balducci aveva parlato dei "proverbiali quattro gatti
che ancora hanno il coraggio e la pazienza di ascoltare le sue parole"
Papa, rimosso vaticanista Tg3
dopo le polemiche su un servizio
Di Bella: "Scelta difficile". Zavoli ai vertici Rai: "Più responsabilità"

Papa, rimosso vaticanista Tg3 dopo le polemiche su un servizio


LES COMBES (Valle d'Aosta) - E' stato rimosso dal suo incarico, dopo le polemiche scoppiate ieri a causa di un servizio sul Papa, il vaticanista del Tg3, Roberto Balducci.

Il servizio era andato in onda domenica nell'edizione delle 19. Parlando della partenza di Benedetto XVI per le vacanze in Valle d'Aosta, il giornalista aveva dato l'impressione di ironizzare sui pochi fedeli che seguirebbero il Pontefice: "I proverbiali quattro gatti, forse un po' di più, che hanno ancora il coraggio e la pazienza di ascoltare le sue parole".

L'espressione usata da Balducci aveva scatenato una ridda di critiche. Il vicepresidente della Vigilanza Rai, Giorgio Merlo (Pd), aveva parlato di "deriva anticlericale" della terza rete, definendola "singolare e volgare". Il direttore del Tg3, Antonio Di Bella, aveva difeso la testata dicendo di aver chiesto chiarimenti al vaticanista che gli aveva "assicurato che non era sua intenzione ironizzare, o peggio irridere il Pontefice, come d'altronde non ha mai fatto in passato". L'incidente sembrava chiuso dopo una telefonata tra Padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede e Di Bella. Oggi invece è arrivato l'ordine di servizio con cui il direttore del Tg3 ha comunciato che "a partire da oggi il collega Roberto Balducci non seguirà più il Vaticano". Una decisione
"difficile - ha detto Di Bella - ma giusta e necessaria verso la testata", presa in "una vicenda delicata e dolorosa".

Immediata la replica del comitato di redazione della testata che si è detto stupito per la "strumentalizzazione politica, priva di senso, di un fatto che era già rientrato ieri". "Non stiamo parlando di uno scontro con il Vaticano su prese di posizione del Papa - ha sottolineato il cdr - ma di una battuta riuscita male, certamente infelice, e di cui il collega stesso si era scusato: e anche il Vaticano ci sembrava che avesse accettato questa lettura dei fatti". Il cdr, che ha respinto le accuse di "deriva anticlericale" della testata, ha ricordato anche che in due anni il collega Balducci non aveva mai ricevuto un appunto. "Forse - conclude la rappresentanza sindacale del Tg3 - siamo sotto tiro nel delicato momento delle nomine".

Dal canto suo, prima della sua rimozione, Balducci aveva scritto una lettera a Di Bella in cui aveva ribadito il proprio "rispetto per il Vaticano" e aveva sottolineato il proprio dispiacere per il fatto che la vicenda "possa aver procurato danno a te, alla nostra testata, alla nostra azienda". "Per questo soltanto, e per la nostra decennale amicizia - aveva aggiunto - mi rimetto ad ogni tua valutazione del caso". Il giornalista aveva poi dato la sua versione sulle ragioni della "battuta" sui "quattro gatti" del Papa: "La frase è un inciso retta da 'gli strapparono un sorriso' (i gatti di montagna, perfino quello malandato), almeno quanto i proverbiali (sottolineo proverbiali) quattro gatti, forse molti di più (con immagine del saluto e del sorriso e della piazza piena), che hanno il coraggio e la pazienza di ascoltare".

Sulla vicenda è intervenuto anche il presidente della commissione di Vigilanza sulla Rai, Sergio Zavoli: "Ho appena scritto una lettera al presidente e al direttore generale della Rai in cui richiamo l'urgenza di far rispettare i vincoli contrattuali del servizio pubblico, stabilendo il principio che al merito professionale deve corrispondere la responsabilità. L'episodio del Tg3, in sé un tentativo maldestro di fare dello spirito, risoltosi in una palese e disarmante grossolanità aggiunge nuove voci al vocio di quanti si dicono scontenti della Rai senza distinzioni e senza mezze misure". "La lezione di questa spiacevole circostanza - ha concluso il senatore Zavoli - riconduce all'indirizzo della Commissione di Vigilanza sulla necessità di incrementare il rapporto fiduciario che, per tradizione, lega l'azienda e l'opinione pubblica".


Io mi chiedo, ci mancava tanto l'editto bulgaro con la cacciata di Biagi, Santoro e Luttazzi?
C'era bisogno dell'editto alla valdostana?
Non più soltanto una specie di Re si permette di fare e disfare le sorti del giornalismo allontanando dai palchi più visibili coloro i quali non leccano i culi giusti con sufficienti veemenza ed accuratezza, adesso si riesce anche a far scomparire la divisione, effettivamente mai realizzata, ma almeno auspicabile, tra potere temporale e spirituale della chiesa.
Parte la telefonata e salta la testa.
Poi ci si scandalizza quando l'Italia come libertà di informazione è considerato l'ultimo dei paesi occidentali e, al 73esimo posto, al pari di Tonga (fonte Freedom House 2009).

La notizia.

La libertà di stampa secondo Freedom House.

venerdì 26 giugno 2009

Saluto a Michael Jackson




Oggi vorrei salutare Michael Jackson, ricordandolo sorridente, un uomo che mi ha sempre dato l'impressione di essere un uomo buono, di quelli come ce ne sono pochi al mondo. Un uomo che ha sofferto tanto da piccolo e poi per tutta la vita, dalle violenze domestiche al disagio per il proprio aspetto, che ha vissuto cercando di vincere la sua infanzia difficile regalando ai bambini tristi la possibilità di sorridere (Neverland, con tutto lo zoo, nasce per questo, per accogliere bambini malati). Un uomo che forse nella propria vita non ha mai trovato la serenità che cercava di assicurare agli altri e molto probabilmente avrebbe meritato. Una vita passata a rincorrere un senso di adeguatezza che gli è sempre sfuggito, finita per fuggire da avvoltoi che hanno in tutti i modi cercare di arraffare soldi da una persona indubbiamente debole, la cui debolezza era cercare di recuperare la propria infanzia donandola ad altri bambini, e non certo strappandogliela.
Una persona lasciata forse troppo sola nelle ultime ore, probabilmente, anzi ne sono certo, non se lo meritava, meritava di essere considerato il grande artista e l'uomo buono che era, piuttosto che "un tizio strampalato, probabilmente pedofilo" come è invece troppo largamente definito.

Lo voglio salutare con la prima apparizione del Moonwalk, al Motown25, non mi piaceva molto la sua musica (ma non posso non citare Blak or White, You are not alone, Beat It, Smooth Criminal, Don't Stop 'Til You Get Enough, Heal the World e ne lascio altre più per difetto di memoria che altro), ma la grandezza di un artista prescinde dal gusto.
Questo è il canale video ufficiale, quasi tutti i video sono capolavori, ma non permettono di incorporarli, quindi vi linko il canale.

Michael Jackson su Youtube.


giovedì 18 giugno 2009

Giudicanti ingiudicabili.

Oggi mi incuriosisce questa notizia:

Caso Welby: condannati per diffamazione Militia Christi e “Il Giornale”

Ammonta a 60.000 Euro, pari a 20.000,00 Euro ciascuno, la somma che il movimento politico cattolico Militia Christi dovrà corrispondere a favore dell’Associazione Luca Coscioni, dell’Associazione La Rosa nel Pugno e di Mario Riccio, il medico anestesista che seguì le ultime ore di Piergiorgio Welby. Lo ha stabilito una sentenza del Tribunale di Roma, che ha altresì imposto a Militia Christi la rimozione dal sito internet del comunicato stampa dal titolo Profanatori ed assassini.
Sulla stessa vicenda, una sentenza di condanna per diffamazione è stata emanata anche dal Tribunale di Desio, sezione distaccata del Tribunale di Monza. Un articolo pubblicato in prima pagina su Il Giornale, il 23 dicembre 2006, dal titolo Nessun rispetto nemmeno per la sua volontà, accusava Mario Riccio di essersene “fregato della volontà di Welby”. Il tribunale ha condannato a 1.200 euro di multa l’autore dell’articolo, Stefano Lorenzetto, e a 800 euro di multa Maurizio Belpietro, all’epoca direttore del quotidiano. Il tribunale ha inoltre riconosciuto a Riccio, tra risarcimento e riparazione pecuniaria, la somma di 53.000 euro.
I Radicali Italiani, nel dare notizia delle sentenze, sottolineano come i parlamentari cattolici Luca Volonté (UDC) e Paola Binetti (PD), pure convenuti in giudizio per diffamazione (il primo per altra vicenda), abbiano preferito far ricorso all’immunità parlamentare.


Sorvolando su Il Giornale che va beh, forse è anche ingiusto accanirsi su questo genere di "giornalisti", mi viene un vuoto di memoria: senatrice Binetti, lei che conosce bene la bibbia, come stava quella faccenda? Non farti giudicare e non sarai giudicato, giusto?

La notizia.

mercoledì 10 giugno 2009

La Letizia del papi

Qualche tempo fa, in pieno scandalo Noemi, in pieno scandalo Mills, tra le parole di Veronica Lario "mio marito è malato" uscì, ben celata dai tg, la seguente notizia:

Camorra: arrestato boss Letizia, 109 ordinanze custodia


L'agenzia Reuters.

Rimasi perplesso su questo cognome, reso da pochi giorni celeberrimo dalla piccola Noemi che al grido di "voglio fare la valletta, altrimenti carriera politica, a trovarmi una poltrona a Montecitorio ci pensa papi Silvio" campeggiava su tutti i media nazionali. Certo caspita, curiosa la situazione:
-Berlusconi si presenta al compleanno della figlia di un dipendente comunale (può essere un amico, che c'è di strano?)
-il dipendente comunale imbastisce una festa da migliaia di euro per la figlia, che si presenta in auto di lusso con autista.
-Berlusconi si presenta a questa festa e sostiene che il signor Letizia, neanche iscritto al partito, abbia delle "raccomandazioni" da fare a livello di liste elettorali.
-la signora Lario parla di un marito "malato che va con le minorenni"
-Berlusconi spiega che conosce la figlia di rimando: lui è amico del padre.
-Berlusconi inventa una palla quando spiega come ha conosciuto il signor Letizia e non è solo Bobo Craxi a smentire categoricamente entrambe le versioni, peraltro contrastanti di Berlusconi e della signora Letizia.
-arrestato un boss camorrista che si chiama proprio Letizia.

Certo le coincidenze hanno un nome che le definisce proprio perchè esistono, è anche vero che in questo caso sono tante.
Poi ci sono le foto pubblicate da El Pais e la questione si era intorbidita parecchio, un malpensante poteva pensare che le cose fossero due: o Berlusconi frequentava la ragazzina o Berlusconi frequentava il padre, personaggio quantomeno singolare, che appare fare una vita non proprio comune come dipendente comunale e che vuole mantenere riserbo sulla natura del legame con il presidente Berlusconi (preferendo tra l'altro che le malelingue del paese diano della zoccola alla giovane figlia piuttosto che raccontare la storia di un legame che dovrebbe essere tutt'altro che torbido). Diciamo che un non bene identificato malpensante avrebbe poche altre alternative credibili cui aggrapparsi per comprendere questo strano rapporto tra Berlusconi, e la famiglia Letizia.

In questo scenario, incuriosito, sono andato a ficcanasare nella rete (strano ma in tv si son viste trasmissioni pietose di tutti i tipi, dalla satira di bassa lega al comizio a Porta a Porta di 20'000 leghe sotto i mari, ma un'inchiesta interessante no.
E sulla rete ho trovato una cosa interessante che consiglio e linko, e poi copia-incollo.

La notizia.

Riportata anche da criticamente.it



Isso, esso e' a malavita. Storie di boss, camorra e politica
A Napoli gli investigatori della Direzione Antimafia stanno indagando sui possibili collegamenti fra Elio Benedetto Letizia, il padre dell'ormai celebre Noemi, e il ceppo che a Casal di Principe ha visto per anni egemone il clan capitanato da Armando, Giovanni e Franco Letizia, gruppo di fuoco del boss Giuseppe Setola, area Bidognetti. Tutti alleati degli Scissionisti di Secondigliano. Qui, nell'attesa di sviluppi giudiziari, proviamo a mettere in fila alcune impressionanti coincidenze, con le tessere di un puzzle che vanno al loro posto una dopo l'altra. Ed un Paese che, se le ipotesi investigative fossero confermate, si troverebbe a dover raccogliere la sfida finale (di Rosita Praga, lavocedellevoci.it).

Potrebbe suonare solo come un'omonimia, un cognome strano, uguale al nome di una donna. E che ricorre. Poi il cerchio delle coincidenze comincia a stringersi. E prende corpo l'ipotesi che Benedetto Letizia detto Elio, padre dell'aspirante starlette Noemi, lungi dall'essere mai stato autista di Craxi o militante di Forza Italia o qualsiasi altra boutade messa in circolazione, sia originario dello stesso ceppo di Casal di Principe dal quale provengono Franco e Giovanni Letizia, gruppo di fuoco del boss Giuseppe Setola. Lo stesso commando capace di sparare in fronte ed ammazzare sei extracomunitari in un colpo solo per avvertire gli altri che, se si intende trafficare droga in zona, bisogna sottostare alle regole. E pagare.

Ma chi è veramente Benedetto-Elio Letizia? Da Castelvolturno all'Agro Aversano fino a Secondigliano, molti lo sanno fin dall'inizio di questa storia. Ma non parlano. Tacciono di fronte ai tanti cronisti venuti da ogni parte del mondo. Però a Enrico Fierro, inviato dell'Unità, qualcuno ha detto: lascia stare, su questa storia meglio non metterci le mani. Bolle, scotta. Il cinquantenne Benedetto Letizia, noto finora al Comune di Napoli (dove è in servizio) più che altro per un vecchio inciampo giudiziario - fu arrestato nel 1993 nell'ambito di un'inchiesta sulle compravendite di licenze commerciali - per tutti è un uomo tranquillo. E anche la gazzarra di visure camerali e catastali messa su dai giornali, non ha potuto scoprire altro che modesti immobili intestati a Noemi e un paio di società dedite al commercio di profumi. Solo una bufala, allora, la storia della parentela? Non dimentichiamo - dice un attento osservatore di queste dinamiche - che molto spesso i clan si servono proprio di personaggi puliti, o quasi, per tenere i contatti con esponenti delle istituzioni.

A gettare benzina sul fuoco, realizzando la classica excusatio non petita, sono poche settimane fa alcuni giornalisti del casertano. Ventiquattr'ore di fuoco, quel 19 maggio. Dopo la cattura in Spagna del boss Raffaele Amato, a Secondigliano un blitz porta in manette quasi cento persone ritenute affiliate agli Scissionisti. In nottata arriva l'arresto a San Cipriano d'Aversa del boss Franco Letizia, uno fra i cento latitanti più ricercati d'Italia. E siamo proprio negli stessi giorni in cui, fra gossip e cronaca, i giornali, le tv e il web sono letteralmente invasi da quel nome: Letizia. Alle 12 e 18 in punto nelle redazioni arriva un lancio Ansa. E' firmato dalla giovane corrispondente casertana Rosanna Pugliese: nessuna parentela - si legge - tra l'arrestato Franco Letizia ed il papà di Noemi, lo affermano gli inquirenti che operano nel casertano. Che bisogno c'era di quella perentoria smentita, a fronte di una notizia mai data? E soprattutto, perché rifarsi ad un termine generico come gli inquirenti, senza precisare se si tratta della squadra mobile, della Procura (di Napoli o di Caserta?) oppure di altre forze dell'ordine? Un sito locale, Caserta Sette, non perde l'occasione per rilanciare la non-notizia. E con tono stizzito se la prende con chiunque osi pensare che esista quella parentela.

Mentre scriviamo, alla Voce risulta invece che sono in corso indagini top secret alla Procura di Napoli proprio per accertare il possibile collegamento fra i Letizia di Secondigliano (Benedetto detto Elio, ma anche altri suoi stretti congiunti) e il clan Letizia affiliato ai Casalesi. Un legame che, se fosse accertato, nella vicenda Papi, spiegherebbe tutto. O quasi. Qualcuno, in Campania ed oltre, sa bene da tempo cosa significa pronunciare alcuni grossi nomi. E perché, se telefona uno con quel nome, se si spinge fino a chiedere a un leader politico di mostrarsi alla nazione intera, intervenendo ad una festa di paese, lui potrebbe essere costretto ad acconsentire. Ma in ossequio alla ragion di stato sarebbe obbligato a far credere - perfino alla moglie e ai figli - che si tratti d'una storia di corna e minorenni, piuttosto che rivelare al Paese e al mondo la verità.

Scrive Fierro sull'Unità del 22 maggio: La camorra, soggetto da maneggiare con cura in questa storia. Anche se i tanti set di questo reality non aiutano a tenerla a debita distanza. Secondigliano (il quartiere monstre dove i Letizia hanno alcune loro attività); Portici, la città-quartiere dove vivono Noemi e sua madre, e Casoria, il paesone della festa. In ognuno di questi luoghi i clan hanno un controllo ferreo del territorio. Sanno tutto. Di tutti. In attesa delle conclusioni alle quali giungeranno i pm della Dda, noi qui proviamo a mettere insieme le tessere del puzzle. Che cominciano a combaciare in maniera impressionante. Se risultasse provato il collegamento fra i Letizia, sarebbe allora più realistico immaginare quale sia stato il vero motivo di quell'appuntamento cui il premier, suo malgrado, non poteva mancare, pur avendo cercato con ogni mezzo fin dalla mattina - e poi nelle frenetiche telefonate fatte in quei misteriosi 50 minuti di sosta dentro l'aereo, a Capodichino - di sottrarsi. Alla fine va. E resta per quasi un'ora a colloquio riservato - dice chi c'era - con Elio Benedetto Letizia, prima di darsi in pasto ai fotografi.

IL POTERE DI GOMORRA

Troppo forte, il potere d'intimidazione di quella holding multinazionale che, come ci ha raccontato Gomorra, comunica i suoi messaggi attraverso i simboli. L'uomo accusato di essersi portato via la donna di un boss, per esempio, viene crivellato non alla testa o al cuore, ma mmiez e palle; quello che ha tradito gli accordi, facendo catturare uno del clan, dovrà essere incaprettato, legato come un capretto sul banco della macelleria, e fatto ritrovare nella posa più grottesca e mostruosa che si possa immaginare per un essere umano. Così anche la presenza fisica di una personalità, in certi luoghi ed occasioni, vale più di cento rassicurazioni verbali. Magari arriva a suggello di un condizionamento che durava già da mesi. E del quale la bella - e quasi certamente ignara - Noemi non era che un altro segnale. La sua presenza al fianco del primo ministro (come nell'ormai famoso ricevimento di fine anno a Villa Madama) serviva per affermare all'esterno che il rapporto con gli uomini del napoletano e del casertano stava andando avanti.

Del resto, lo strapotere finanziario raggiunto dalle imprese dei clan camorristici - anche attraverso la presenza di loro vertici nelle logge massoniche coperte - praticamente non ha uguali. Lo ha spiegato poche settimane fa Roberto Saviano agli studenti della Normale di Pisa nel corso di una lezione: nessuna, fra le altre mafie del mondo (russa, cinese o slava che sia) è autonoma rispetto alle cosche italiane. Tutte hanno come modello di partenza Cosa Nostra, Ndrine e Camorra. Ma i gruppi esteri non si sono mai del tutto affrancati: sullo scacchiere internazionale, nei paradisi fiscali, per muovere da un capo all'altro dei continenti denaro, armi, stupefacenti, organi ed esseri umani, devono sempre e ancora in qualche modo dare conto ai clan italiani.

Dal punto di vista dell'economia criminale, poi, che interi pezzi dell'Italia siano ormai ricattabili da parte dei clan camorristici, non è una novità. Una holding multinazionale, ma pur sempre malavitosa; forze strutturate e uomini che, pur trovandosi ormai a gestire le leve del potere finanziario (il giro di affari delle mafie, secondo uno studio recente di Confesercenti, è pari a 125 miliardi di dollari l'anno, circa il 7% del Pil nazionale), non rinunciano ai vecchi e collaudati metodi per affermare il loro potere. Un commando di fuoco pronto a sequestrare, a sparare in faccia, tenere in ostaggio magari i figli di un alto esponente politico. Ed è così che possono maturare, per i posti chiave di governo - ad esempio la presidenza di una strategica Provincia o un sottosegretariato - le nomine di personaggi ritenuti già nelle loro stesse zone di origine impresentabili, per i legami con la camorra dei loro uomini più stretti.

MARONI ALLA CARICA

Come s'inscrive, nello scenario che stiamo ipotizzando, l'autentica impennata nella lotta ai clan camorristici impressa nelle ultime settimane da Roberto Maroni, ministro degli Interni, e da Antonio Manganelli, capo della Polizia? Berlusconi - dice un esperto di intelligence che preferisce restare anonimo - probabilmente sarà presto lasciato al suo destino. Lo dimostra il livello di fibrillazione da cui è stato colto dopo l'episodio di Casoria, gli errori a raffica, le dichiarazioni avventate. A reggere saldamente il timone dello Stato che non si arrende è ora il Viminale, da cui non a caso negli ultimi mesi è partito un pressing senza precedenti nel contrasto ai Casalesi e ai loro alleati, gli Scissionisti di Secondigliano. Operazioni che hanno liquidato quasi interamente il clan Letizia.

L'escalation nella lotta alla malavita organizzata del casertano ha inizio esattamente dopo la strage di Castelvolturno, il 19 settembre dello scorso anno, quando sei nordafricani residenti nella vasta area a rischio della Domiziana, sul litorale di Caserta, vengono massacrati in un raid di camorra teso - si capirà in seguito - a riaffermare il predominio sulla zona del boss dei Casalesi Giuseppe Setola, al cui clan sono affiliati i Letizia. Appena dieci giorni dopo, il 30 settembre, i Carabinieri del comando di Caserta arrestano gli artefici dell'eccidio. Sono Alessandro Cirillo, Oreste Spagnuolo ed il ventottenne Giovanni Letizia, già ricercato per un altro omicidio collegato alla connection politica-rifiuti: quello dell'imprenditore Michele Orsi. I militari li sorprendono in due villini di villeggiatura a Quarto, sempre in zona domizia. Secondo il pentito Oreste Spagnuolo - scriverà Roberto Saviano - Giovanni Letizia quando uccise Michele Orsi indossava una parrucca e ai piedi aveva un paio di Hogan di tela. Poi gli venne fame e andarono a mangiare con Letizia che aveva ancora le scarpe sporche di sangue ma preferiva pulirle con la spugnetta anziché buttarle. Quando il suo capo chiese perché perdesse tempo a lavarle rischiando di essere beccato, Giovanni Letizia gli rispose che Orsi non valeva le sue scarpe.

14 gennaio 2009. In un edificio diroccato di Trentula Ducenta, al confine con il Lazio, finisce la latitanza del boss Giuseppe Setola. Con lui viene fermata la moglie, Stefania Martinelli. Fra il 9 e l'11 marzo la Dda partenopea mette a segno un altro colpo mortale per i Casalesi con l'arresto di altri uomini legati a Franco Letizia, cugino di Giovanni, considerato il reggente del clan. Fra loro anche il trentatreenne Vincenzo Letizia detto o schizzato.

3 aprile 2009. La Mobile di Caserta arresta Armando Letizia, 56 anni. Considerato elemento di spicco del clan, Armando è zio di Giovanni Letizia e padre del latitante Franco. Il cerchio si stringe intorno a quest'ultimo, che sarà tratto in manette il 19 maggio. Ma quella domenica 26 aprile, il giorno dell'arrivo di Berlusconi a Casoria per il compleanno di Noemi, un'altra e più rilevante cattura forse è già nell'aria. All'alba del 29 aprile la Direzione Investigativa Antimafia di Napoli sorprende Michele Bidognetti, fratello del boss Francesco Bidognetti (detenuto al 41 bis eppure ancora in grado - secondo gli inquirenti - di impartire ordini), ma soprattutto parente del collaboratore di giustizia Domenico Bidognetti.

Un gruppo criminale strettamente collegato a quello dei Setola e, quindi, ai Letizia. Una storia - fanno notare in ambienti giudiziari del casertano - che puzza lontano un miglio di rifiuti. Non va dimenticato che per i Bidognetti questa è stata sempre una fra le più lucrose attività. E che molte operazioni messe a segno recentemente dalle forze dell'ordine nascono dalle rivelazioni su quel maleodorante business rese da una gola profonda del settore come Gaetano Vassallo. Senza contare, su tutto, la presenza degli imprenditori-camorristi del settore rifiuti Michele e Sergio Orsi: il primo ucciso proprio per mano del clan Letizia quando era in procinto di collaborare con la magistratura. Il secondo, arrestato nell'ambito di un'operazione anticamorra di febbraio scorso, era invece stato prosciolto nel 2007 da analoghe accuse. Al suo fianco, come penalista, c'era l'avvocato Ferdinando Letizia dello studio Stellato di Santa Maria Capua Vetere. Casertano, 35 anni, Ferdinando Letizia è anche consigliere comunale a Castelvolturno e capogruppo della lista Liberamente, sul cui sito internet si esaltano le gesta del leader Silvio Berlusconi. Il colpo inferto ai trafficanti di rifiuti con l'apertura dell'inceneritore di Acerra, il timore di perdere gli appalti da milioni di euro che ruotano intorno all'affare munnezza, potrebbero insomma essere fattori non del tutto estranei al clima rovente delle ultime settimane.

IL MILAN? ALL'OLIMPIA

Ma torniamo ai segnali. A quegli avvenimenti forse solo in apparenza curiosi che avevano preceduto la famosa sera del 26 aprile. Quella domenica a giocare sul campo del San Paolo c'era stata l'Inter. Ma il 22 marzo a Napoli per una sfida di campionato era sbarcato il Milan. Che per la prima volta aveva abbandonato i consueti, sfavillanti hotel del lungomare partenopeo con vista sul golfo, per andare ad alloggiare in una delle più desolate periferie dell'hinterland: Sant'Antimo, Hotel Olimpia. Terra di inceneritori, ecoballe e Cdr. Al confine col triangolo della morte Nola-Marigliano-Acerra. Comune, Sant'Antimo, due volte sciolto per infiltrazioni camorristiche. Area infestata da sversamenti illegali di materiali tossici. E non lontana da quell'agro aversano da cui trae le sue origini il gruppo Setola-Bidognetti-Letizia.

L'Hotel Olimpia rientra nell'impero economico della famiglia Cesaro, che in zona possiede anche l'unico presidio sanitario disponibile per uno fra i territori più densamente popolati d'Italia, il Centro Igea, ed una serie di altre lucrose attività. Leader della famiglia è Luigi Cesaro, deputato Pdl, candidato in pole position per la presidenza della Provincia di Napoli. Sui suoi pregressi legami coi clan della zona si soffermava a lungo (come la Voce ha ricordato nel numero di maggio scorso) la relazione di fuoco redatta dai commissari prefettizi inviati a Sant'Antimo dopo lo scioglimento per camorra del 1991.

Ecco i passaggi chiave. I collegamenti di taluni degli amministratori con la malavita organizzata - clan Puca e Verde - si estrinsecano attraverso rapporti di parentela e/o cointeressi in attività economiche e patrimoniali. La cointeressenza in attività economiche si coglie soffermandosi sugli accordi in materia di appalti fra i clan di Pasquale Puca ed il clan Verde, che operano rispettivamente attraverso le cooperative La Paola e Raggio di Sole, addivenendo in tal modo ad una spartizione dei settori dell'economia locale. Della Cooperativa Raggio di Sole è socio il consigliere comunale Antimo Cesaro unitamente ai fratelli Raffaele (legale rappresentante) e Luigi. Ancora: lo stesso consigliere Aniello Cesaro risulta citato a comparire dalla Autorità Giudiziaria in ordine a molteplici attività estorsive messe in atto da Pasquale Puca, capo dell'omonimo clan camorristico operante in Sant'Antimo e Casandrino; risulta avere in atto procedimenti per truffa, interesse privato in atti d'ufficio, omissione in atti d'ufficio e peculato. Diciannove anni dopo, di Luigi Cesaro (e del suo gemello politico Nicola Cosentino, sottosegretario all'Economia), parla Gaetano Vassallo, come ricorda l'Espresso in un'inchiesta di settembre 2008. E qui tornano le coincidenze. Perché se le verbalizzazioni del pentito dovessero trovare conferma, a favorire l'attività imprenditoriale dei Cesaro non sarebbe stato un clan qualsiasi. Ma il gruppo di Francesco Bidognetti, alias Cicciotto e mezzanotte.

IL BOOMERANG

Sto pensando di riferire in aula sul caso Letizia. Ma ci devo riflettere. 23 maggio. E' appena scoppiato il caso Mills (la condanna per corruzione dell'avvocato David Mills, che tira il ballo lo stesso premier) e siamo a poche ore da un altro storico annuncio di analogo tenore: riferirò alla Camera sulla vicenda Mills. Perché, allora, mentre tutti parlano di Mills, lo stesso Cavaliere torna a porre l'accento sulla storia dei suoi rapporti con Noemi Letizia e la sua famiglia? La risposta potrebbe stare tutta in una ricostruzione dei fatti che comincia a circolare a Napoli. E che trae spunto da quelle mezze frasi dette col cuore in mano prima dal papà di Noemi (il mio rapporto con Berlusconi? Preferisco non approfondire, siamo legati da un segreto), poi dalla mamma Anna Palumbo: non chiedetecelo, non possiamo dire di più... Dopo la valanga di stridenti contraddizioni abbattutasi sul resoconto che lo stesso Cavaliere aveva voluto rendere negli studi di Porta a Porta (dalla bufala del Benedetto Letizia autista di Craxi, subito sbugiardata dal figlio dell'ex leader socialista Bobo, alle secche smentite di Franco Malvano e Fulvio Martusciello che addirittura - aveva detto il premier a Bruno Vespa - gli erano stati segnalati quella sera da Letizia), ora lo staff del presidente deve mettere a punto una versione inattaccabile. E se colpisse anche i sentimenti, se saltasse fuori una storia di buona sanità, meglio. E' partita così la caccia di alcuni cronisti alle notizie d'agenzia di quel maledetto 29 luglio 2001 quando l'appena diciannovenne Yuri Letizia, fratello di Noemi che in quel periodo prestava servizio militare, perse tragicamente la vita a bordo di una Fiat Punto andatasi a schiantare contro gli alberi sulla Salaria. E' stato un articolo di Francesco Lo Sardo sul quotidiano Europa a gettare in campo l'ipotesi: pare sia stato dopo questa tragica morte - scrive il 15 maggio - che, in qualche modo e per qualche speciale ragione, si sia cementato il legame tra il signor Elio Letizia e Silvio Berlusconi. La ricostruzione potrebbe essere già pronta: prima - fa sapere il premier - li lascio andare avanti, perché così si mostrano per quello che sono. E sarà un boomerang tale che si vergogneranno, e perderanno consenso e la stima degli elettori, perché in questa vicenda tutto è più che pulito.

Rosita Praga - www.lavocedellevoci.it

giovedì 4 giugno 2009

La democrazia

Mi imbatto in questa notizia e mi chiedo: come può la democrazia essere la più compiuta forma di governo di un paese se può votare gente del genere?

Tifosi, la protesta anche on line contro Berlusconi: «Non andiamo a votare»
Contestazione organizzata dalla curva Sud: una trentina di ultrà sotto la sede del Milan di via Turati. Cori contro Galliani, ignorato Kakà.


Questa volta non fini­rà con Kakà affacciato dal balco­ne di casa a sventolare la ma­glia del Milan e battersi il cuore col pugno. Questa volta la tele­novela che va in scena tutte le estati non avrà un lieto fine. E infatti, questa volta, la gente rossonera pare saperlo. E sem­bra già rassegnata. Rabbiosa, certo, ma fondamentalmente rassegnata.

Un blitz organiz­zato dalla curva Sud, che nei co­ri ha messo nel mirino Galliani (invitato a vendere i suoi fami­liari) ma — curiosamente — non ha quasi contemplato il no­me di Kakà. Tutto si è svolto senza particolari problemi di or­dine pubblico: il traffico non ne ha risentito e le forze dell’ordi­ne si sono limitate a controllare con discrezione la situazione fi­no a quando, dopo una breve consultazione, gli ultrà hanno deciso di abbandonare la scena in blocco, così come erano arri­vati.

A bre­ve termine, inoltre, per Berlu­sconi ci potrebbe essere anche una sorta di boomerang eletto­rale. Una minaccia questa — co­sì come quella degli abbona­menti — che si sta rincorrendo sempre più con insistenza su fo­rum e blog in Rete. E’ sul web che in questi giorni si sta davve­ro riversando tutto il malumo­re appena accennato sotto la se­de. «Non andiamo a votare», in­vitano alcuni, «scriviamo: non si vende Kakà», propongono al­tri, mentre altri ancora assicura­no che sabato e domenica vote­ranno «a sinistra» per ripicca. Per il Cavaliere un brusco calo di consensi da parte del popolo rossonero.

Fonte: Gazzetta dello Sport


La notizia.

E' mai possibile che la resistenza abbia portato a questo? A persone che vanno a votare in funzione del calciomercato? Questi buffoni hanno mai parlato con un partigiano?
E' moralmente corretto garantire a teste "pensanti" di tale caratura il diritto di voto? Visto come questi decidono di gestirselo?

Voto Berlusconi se fa un grande Milan, voto i suoi avversari o annullo la scheda se vende il mio campione preferito.

Per carità, si pone di nuovo il tema del conflitto di interessi, ma quel che più mi preme è che persone con un cervello così abbiano lo stesso diritto di voto di chi nella politica crede, o spera, di chi si sbatte per fare qualcosa, per portare delle idee, per fare informazione, per cambiare questo paese medievale.
L' Italia pare costantemente tesa a dimostrare che la democrazia è un fallimento.

lunedì 1 giugno 2009

Lettera aperta a Pietro Pagliardini da uno studente di architettura

L'amico Piero mi ha chiesto qualche tempo fa di scrivere qualcosa, di riassumere i pensieri di uno studente di architettura che si appassioni al dibattito su architettura ed urbanistica; ecco, ci ho messo un sacco di tempo ma alla fine ho trovato il tempo per riassumere i miei pensieri.

Proprio domenica un'interessante puntata di Report (ovviamente diretta a tutti, quindi magari un po' "banale" in alcuni passaggi per una persona del settore) mi ha dato la spinta: si parlava della morte dello strumento urbanistico e della nascita della città del palazzinaro. E' inutile dire quanto piacevole e confortante sia che anche la societa civile finalmente si schieri contro le varie forme di non-città che proliferano oggi e che eminentemente sono sconfinati quartieri dormitorio o marmellate di villettopoli sparse qua e la.

Il punto forte della trasmissione stava proprio nella continua violenza cui son sottoposti i piani in Italia, raramente rispettati se un qualche imprenditore metta sul piatto soldi sufficienti a far rifiatare un comune che accetta così di far stuprare in qualunque modo il proprio territorio, fregandosene non solo dei costi sociali di migliaia e migliaia di metri cubi messi in un posto alieno alla città, ma anche a quelli poi dovuti ad un'architettura che nelle migliori delle ipotesi è semplicemente banale.

Cos'è oggi un architetto? A cosa si è ridotta la figura che nel tempo ha costruito le città? Se il lavoro dell'urbanista viene violentato in nome dei soldi dei palazzinari, se questi vuole spender poco e se i professori universitari insegnano che non ci sono regole, che tutto è soggettivo ma ingiudicabile, che ciò che fa un architetto è giusto e incontestabile? Cosa viene fuori da questo quadro? Architetti che quando siano rispettosi dell'architettura, della storia ma anche del progresso, dell'urbanistica, conoscitori della città, vengono comunque ridotti a poco più di "disegnatori di cartine". A che serve cioè che un urbanista presti attenzione a come e dove costruire, alle infrastrutture, alle linee di trasporto pubblico, quando poi un palazzinaro compra ettari ed ettari di terreno agricolo e si presenta al comune con i milioni degli oneri in mano e il comune non possa (o voglia, nella peggiore delle ipotesi) che prostituirsi per far cassa in qualche modo?

La questione è inevitabilmente prima politica che di qualunque altro tipo: evidentemente i comuni Italiani non hanno soldi a sufficienza e voglio spendere critiche bipartisan a questo punto, o meglio fare un plauso e una critica a questo governo. Ben venga il federalismo fiscale, gli enti locali sono quelli a più stretto contatto con il cittadino e devono "prendersi cura" di lui, orribile la scelta di togliere l'ici sula prima casa, ossigeno fondamentale per i comuni.

Oggi ci troviamo in condizioni serie, e non parlo di ambientalismo quanto di qualità della città, anche perché i professionisti capaci, che hanno la possibilità economica di non prostituirsi, hanno un ruolo marginale e possono essere facilmente scavalcati da un amministratore poco capace o semplicemente senza sufficienti fondi.

Lo strumento urbanistico dovrebbe avere un valore molto maggiore, dovrebbe essere "inviolabile" ed è qui secondo me che si può e deve ragionare di qualità edilizia, qualità urbanistica e ridensificazione della città, restituzione della città ai cittadini.
Sottrarre la città ai suv e restituirla ai cittadini DEVE essere priorità in Italia dove, non fosse chiaro, nessuno viene a vedere i quartieri dormitorio o le villettopoli terzo millennio, ma si viene a vedere la meraviglia di centri storici stratificati, che offrono tessuti nei quali si legge la storia della città, la città dei cittadini, le città delle auto non interessano a nessuno, anzi potendo se ne fugge.

Il piano dovrebbe appunto essere inviolabile, ed indicare delle nuove aree, che valgano le "C" ma che siano esclusivamente dedicate a "premio" (preferisco scrivere in modo che sia chiaro a tutti, non so quanto sia vasto il tuo pubblico) per coloro i quali accettino la sostituzione edilizia. Dovrebbe cioè indicare gli edifici cittadini impropri e consentire, in funzione della sostituzione, di aggiungere metri cubi, tanti, tantissimi vi prego, se non in sito almeno in queste aree "C bis", e l'allargamento della città deve quindi esistere solo in funzione di una riqualificazione dell'esistente, e ovviamente rispettoso della città. L'esempio della sede della Banca Toscana ad Arezzo l'avevo già fatto (edificio moderno le cui storture sarebbero elencabili solo in un topic dedicato, ma situato in una strada ordinata e di un certo pregio architettonico) : sostituisci quell'oggetto e io ti assicuro tanti metri cubi in più, nello specifico anche in sito, essendo l'edificio attuale molto basso rispetto al contesto, in altri casi in aree IMMEDIATAMENTE periferiche, che ovviamente deve individuare l'urbanista, questa dovrebbe essere la concessione che il comune possa fare, può vendere spazio in virtù di una sostituzione che permetta di riqualificare la città, non può vendere la città per soldi, non può l'amministratore far prostituire la città.
I piani dovrebbero essere frequenti, e non indicare come allargare la città, ma come farla crescere qualitativamente, ma soprattutto dovrebbero essere inviolabili!!! Un accordo di programma può vertere su indici e standard, il comune può prendere la "mazzetta" (oggi è tecnicamente questo) per far costruire 100'000 mc laddove se ne potevan fare 80'000, non per far costruire laddove non si può.
Ne viene fuori un disastro sia ambientale (minori aree verdi, maggiori consumi di carburanti) , che economico (maggiore dispersione per reti di utenze più lunghe, bisogno di nuove infrastrutture), che sociale (migliaia di cittadini che non si sentono cittadini, non padroni ma schiavi della città, di una città che è a sua volta schiava dell'auto).
Un comune può accettare un piano in più molto più facilmente che una casetta "più in la", una città può alzarsi e rimanere vivibile, non può farlo allargandosi a macchia d'olio.

Ed è qui che bisogna che il piano individui, dopo che abbia fallito la commissione edilizia, cosa c'è bisogno di sostituire, cosa non è città ma villettopoli, cosa non è città ma dormitorio, cosa non è edificio ma delirio di un architetto "universitario". Assistiamo oggi in facoltà ad architetti che insegnano che non ci sono regole (ovviamente non tutti, ci mancherebbe), che tutto dipende dal gusto dell'architetto (quindi non ancora dello studente, che deve semplicemente assecondare il professore di turno e sperare di incontrarne il gusto), che non esistono regole, che quando si fa un intervento "deve essere chiaramente riconoscibile" e si portano esempi di abitazioni di Gehry, prontamente riproposti poi dagli studenti in pieno centro storico di Firenze, che quella di Richard Meier è una chiesa anche se a fare fotomontaggi che la collocassero altrove è stata scambiata (non scherzo) per centro velico per la Coppa America e per palazzetto dello sport.
Assistiamo alla negazione aprioristica del tetto a padiglione, che appare quasi come un'offesa il presentare al professore, ad obiezioni del tipo "ma qui c'è umidità" di fronte ad un tema "fai una casa in mezzo al letto dell'Arno", a giudizi opposti su progetti identici presentati a soli 7 giorni di distanza.

All'interno di un panorama del genere forse la speranza può venire da "Report", inteso come società civile che si interessa al problema e si rende conto della situazione caotica (ad essere buoni) in cui versano l'urbanistica e l'architettura in Italia; forse la coscienza che il traffico si crea quando si costruisce male, violentando il piano, lasciando la città in mano ai palazzinari, forse la coscienza che l'inquinamento dipende da migliaia di alloggi cresciuti dove non era previsto né prevedibile né auspicabile, forse la nuova spinta ecologista verso consumi più bassi scoraggiata da distanze troppo grandi, forse la rinnovata tensione verso una città da percorre a piedi potranno quello che politica, urbanistica ed architettura non hanno potuto, o forse voluto, cioè restituire la città ai cittadini. E questo è possibile restituendo l'urbanistica agli urbanisti e l'architettura agli architetti.
E purtroppo per questo la strada sarà lunga e passa anche da un'università che non forma architetti, forma studenti impauriti dal mondo dell'architettura, con nessuna forza culturale da opporre al dio denaro: come può un giovane architetto imporre una corretta visione architettonica che non ha ad un imprenditore che deliberatamente la nega poiché non economicamente vantaggiosa?

La strada è lunga, ma la società civile, se pur prima per la paura sismica e ora per la tensione ecologista, e non per una questione prettamente architettonico/urbanistica, può essere la spinta per riuscire in un prossimo futuro a recuperare le nostre città, a restituircele, togliendole dalle mani di amministratori inadeguati, architetti incompetenti ed urbanisti senza potere.


Spero di non essere stato troppo prolisso e di aver inquadrato la richiesta che mi hai fatto: questa è una sintesi (una sintetica sintesi...) della mia visione dell'architettura e dell'urbanistica attuali e delle prospettive delle stesse, o meglio delle mie speranze perché queste cambino nella direzione che auspico, e credo auspichi anche te.

Ciao Riccardo